• I pazienti obesi non hanno bisogno di perdere tempo prima dell’intervento di sostituzione articolare

    07/08/2017 - i risultati di uno studio USA

    Un nuovo studio statunitense rileva come i pazienti obesi che hanno subito un intervento di sostituzione articolare totale abbiano risultati simili rispetto al livello di dolore e alla funzione rispetto a soggetti normo peso.
    Secondo Wenjun Li, professore associato di medicina presso la UMass Medical School e autore dello studio in questione, non è necessario chiedere a un paziente obeso di perdere peso prima dell’intervento. La cosa, infatti, può non essere facile per chi già di base prova dolore.
    I dati riportati dall’equipe di Wenjun Li hanno dimostrato che i pazienti obesi possono beneficiare quasi come gli altri dei vantaggi della chirurgia articolare, con risultati ottimi sia per quanto riguarda la funzione fisica, sia per quel che concerne il dolore.
    Lo scopo specifico di questo studio, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine del Journal of Bone and Joint Surgery, è stato quello di valutare l’entità del rilievo del dolore e del miglioramento della funzione fisica in pazienti con diversi livelli di obesità sottoposti a sostituzione articolare chirurgica.
    Ricerche precedenti avevano documentato come l’obesità fosse associata a un minimo rischio d’infezione dopo la chirurgia articolare del ginocchio. Questo può scoraggiare i pazienti obesi che vogliono sottoporsi a un intervento chirurgico. Nella ricerca della UMass Medical School, effettuata monitorando nell’arco di 6 mesi la situazione di più di 4.000 pazienti sottoposti a interventi di sostituzione dell’anca e del ginocchio, si segnala però che anche questi soggetti possono trovare sollievo dall’intervento di sostituzione articolare, con benefici molto superiori alle complicazioni.

  • Obesità infantile collegata a un maggior rischio di problemi all’anca

    17/07/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    Una nuova ricerca, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Archives of Disease in Childhood, ha evidenziato la correlazione tra obesità infantile e problemi all’anca durante l’infanzia. Significativi problemi di malformazione all’anca riguardano circa 1 bambino su 500. La patologia più comune è lo slittamento dell’epifisi femorale. Questa condizione richiede una risoluzione di natura chirurgica, può causare dolore significativo e, in molti casi, può comportare la necessità di una sostituzione dell’anca in età adulta o adolescenziale.
    I bambini che soffrono di questa patologia fanno esperienza di una riduzione della gamma di movimenti. Spesso, inoltre, non sono capaci di completare la flessione dell’anca o di ruotarla verso l’interno. Nel tentativo di identificare i bambini maggiormente a rischio di sviluppare questa condizione, i ricercatori della University's Institute of Translational Medicine, hanno esaminato i record ospedalieri di soggetti di età inferiore ai 16 anni con una diagnosi di slittamento dell’epifisi femorale.
    Confrontando l’altezza e il peso dei bambini registrati prima della diagnosi di malattia, i ricercatori sono stati in grado di identificare un maggior rischio di sviluppo della condizione tra i bambini obesi.
    Il Dottor Daniel Perry, chirurgo ortopedico e consulente presso l’Alder Hey Children’s Hospital, ha affermato che lo studio in questione rappresenta la migliore evidenza per collegare il problema all’anca all’obesità infantile. Secondo il suo punto di vista, lo studio aiuta a comprendere meglio una della malattie che più frequentemente colpiscono l’anca nell’infanzia. Anche se l’associazione è confermata, è comunque ancora presto per affermare che l’obesità provoca la malattia.

  • Osteoartite al ginocchio: le iniezioni di steroidi non portano benefici

    17/07/2017 -

    Secondo uno studio pubblicato sulle pagine di JAMA, le iniezioni di steroidi somministrate a cadenza trimestrale si sono rivelate meno efficaci del placebo nell’alleviare il dolore di pazienti affetti da osteoartrite al ginocchio. I ricercatori del Medical Center di Boston, infatti, hanno scoperto che le iniezioni di steroidi hanno ridotto il volume della cartilagine nell’arco di due anni. L’osteoartrite al ginocchio è una condizione molto comune, che colpisce circa 30 milioni di persone ogni anno solo negli USA.
    La condizione è causata dalla rottura della cartilagine e colpisce nella maggior parte dei casi le articolazioni delle ginocchia, delle anche, delle mani e della colonna vertebrale. L’usura della cartilagine può portare dolore, infiammazione, problemi di movimento.
    Attualmente non esiste alcuna cura per l’osteoartrite. Esistono però dei trattamenti che possono aiutare a tenere maggiormente sotto controllo la condizione. Uno di questi sono appunto le iniezioni di corticosteroidi. Questa nuova ricerca, andando contro a molta letteratura medica, suggerisce che non sempre possono migliorare la condizione dei pazienti ma anzi peggiorarla.
    Ecco che ritorna la soluzione chirurgica che, per esempio, può riguardare la diminuzione del carico sull’articolazione grazie a interventi in artroscopia ma anche l’osteotomia. La seconda opzione è necessaria in caso di eccessivo sfregamento dei capi articolari. Nei casi in cui l’articolazione risulta irrimediabilmente danneggiata, l’unica soluzione possibile è quella della chirurgia protesica. Ovviamente è opportuno intervenire precocemente sui fattori di rischio che, per esempio, riguardano l’obesità e la scarsa attività fisica.


  • Osteoartite al ginocchio: le iniezioni di steroidi non portano benefici

    17/07/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    Secondo uno studio pubblicato sulle pagine di JAMA, le iniezioni di steroidi somministrate a cadenza trimestrale si sono rivelate meno efficaci del placebo nell’alleviare il dolore di pazienti affetti da osteoartrite al ginocchio. I ricercatori del Medical Center di Boston, infatti, hanno scoperto che le iniezioni di steroidi hanno ridotto il volume della cartilagine nell’arco di due anni. L’osteoartrite al ginocchio è una condizione molto comune, che colpisce circa 30 milioni di persone ogni anno solo negli USA.
    La condizione è causata dalla rottura della cartilagine e colpisce nella maggior parte dei casi le articolazioni delle ginocchia, delle anche, delle mani e della colonna vertebrale. L’usura della cartilagine può portare dolore, infiammazione, problemi di movimento.
    Attualmente non esiste alcuna cura per l’osteoartrite. Esistono però dei trattamenti che possono aiutare a tenere maggiormente sotto controllo la condizione. Uno di questi sono appunto le iniezioni di corticosteroidi. Questa nuova ricerca, andando contro a molta letteratura medica, suggerisce che non sempre possono migliorare la condizione dei pazienti ma anzi peggiorarla.
    Ecco che ritorna la soluzione chirurgica che, per esempio, può riguardare la diminuzione del carico sull’articolazione grazie a interventi in artroscopia ma anche l’osteotomia. La seconda opzione è necessaria in caso di eccessivo sfregamento dei capi articolari. Nei casi in cui l’articolazione risulta irrimediabilmente danneggiata, l’unica soluzione possibile è quella della chirurgia protesica. Ovviamente è opportuno intervenire precocemente sui fattori di rischio che, per esempio, riguardano l’obesità e la scarsa attività fisica.


  • Osteoartrite: prevenire la carenza di molecole chiave può ritardare la necessità di sostituzioni articolari

    07/07/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    L’osteoartrite è la forma più comune di artrite, un termine comunemente usato per definire un processo degenerativo delle articolazioni che può provocare molto dolore e risultare potenzialmente invalidante. Uno studio recente, condotto da un’equipe del NYU Langone Medical Center di New York e pubblicato sulla rivista Nature Communication, ha portato alla luce come iniettare molecole di adenosina nelle articolazioni possa prevenire l’insorgenza dell’osteoartite nei ratti.
    L’osteoartite colpisce più spesso le anche, le mani e le ginocchia e deriva dalla graduale usura e dalla rottura della cartilagine che ammortizza l’estremità delle ossa nella giuntura. La degenerazione della cartilagine nell’osteoartrite progredisce lentamente e, con il passare del tempo, i gonfiori diventano dolorosi e rigidi.
    In alcuni casi, l’osteoartrite è in grado di ridurre notevolmente i movimenti, impedendo alla persona che ne soffre di condurre una vita normale. Il nuovo studio riguarda, come già ricordato, l’attività di una molecola nota con il nome di adenosina. Il suo ruolo è essenziale per la funzione cellulare e, come dimostra la ricerca, è importante per il mantenimento della cartilagine.
    Lo studio si è concentrato nello specifico sul ruolo dell’adenosina nel mantenimento di una dose ottimale di condrociti. L’equipe che ha gestito lo studio ha notato che i livelli di adenosina all’interno e all’esterno delle cellule sono strettamente controllati da stress cellulari e consumo di ossigeno.
    Una delle altre scoperte importanti dello studio riguarda il fatto che la riduzione dei condrociti, e quindi il maggior rischio di osteoartrite, è guidata non solo dai bassi livelli di adenosina, ma anche dalla carenza di proteine note come adenosina a2a recettori.

  • Il BMI più alto diminuisce i tempi di guarigione delle lesioni

    07/07/2017 - i risultati di uno studio dell'Ohio State University

    Un’equipe scientifica attiva presso l’Ohio State University ha trascorso tre anni a studiare la correlazione tra fratture frutto di stress e il tempo necessario agli atleti che le subiscono per tornare a praticare attività agonistica, nello specifico a correre. I ricercatori hanno scoperto che più è basso il BMI, più tempo si impiega a guarire. Lo studio in questione si è concentrato in particolare su 24 fratture di tibia in 18 donne. I ricercatori hanno preso in considerazione il grado delle fratture da stress utilizzando il sistema K – M, un metodo univoco che prende in considerazione sia le prove radiografiche, sia i dati clinici.
    Il grado I è una reazione di stress che appare solo sui risultati radiografici e non provoca dolore. Il grado V è ovviamente il massimo. Il Dottor Timothy Miller, uno degli autori dello studio, ha ricordato che queste condizioni, in molti casi, vengono trascurate dai pazienti. Questo porta alla necessità d’interventi chirurgici per la riparazione. Il gruppo di ricerca di Miller ha dimostrato che il tempo medio per tornare in attività tra coloro i quali avevano subito una frattura di grado V è stato di 17 settimane.
    Per il grado II e il III, invece, si parla di circa 13,7 settimane. I ricercatori hanno anche riscontrato che le donne con un BMI inferiore a 19 avevano un rischio maggiore di sviluppare fratture. Miller afferma che c’è un diffuso problema tra i corridori collegiali femminili. Il suddetto riguarda la convinzione che sia vera l’equazione più leggero = più veloce.

  • La prima cartilagine biostampata in India

    23/06/2017 - Il grande risultato raggiunto da un'equipe dell'Indian Institute of Technology di Dehli

    Un team di scienziati attivo presso l’Indian Institute of Technology di Dehli, ha raggiunto con successo un risultato molto importante, ossia la realizzazion della prima cartilagine biostampata mai creata in un laboratorio indiano.
    Il dottor Ghosh, uno dei biochimici che hanno sviluppato il progetto, ha affermato che la cartilagine in questione contiene un’ottima quantità di midollo osseo derivato dalle cellule staminali della cartilagine ed è caratterizzata dalla presenza di proteine della seta. Secondo quanto affermato dal team di ricerca, il bionchiostro utilizzato è stato progettato non solo per garantire la crescita delle cellule, ma anche la loro sopravvivenza a lungo termine.
    Lo stesso Ghosh ha spiegato che la proteina della seta utilizzata ha diversi amminoacidi in comune con quelli del corpo umano. Ha ricordato che, proprio come le cellule presenti all’interno del nostro corpo sono circondate da proteine, anche quelle della cartilagine sono circondate da un ambiente biochimico che ha le medesime caratteristiche.
    Un recente test ha dimostrato che la cartilagine biostampata è stata in grado di rimanere stabile in un lasso di tempo pari a 6 settimane. Nonostante i progressi di Ghosh e del suo team nella sua ricerca, i problemi rimangono. Come spiegato da lui stesso, nel campo della biostampa le ginocchia sono un argomento particolarmente importante, in quanto la cartilagine articolare che le circonda può essere facilmente danneggiata e attualmente è molto difficile, se non impossibile, ripararla.
    Ghosh afferma che uno dei traguardi per il prossimo anno sarà quello d’impiantare la cartilagine biostampata nelle ginocchia di cavie animali.

  • Ossa rotte: la tomografia computerizzata in grado di individuare le fragilità e di prevedere la sopravvivenza

    23/06/2017 - i dettagli dello studio pubblicati sulle pagine dell'American Journal of Roentgenology

    Usare la tomografia computerizzata (CT) per valutare lo stato di salute dei muscoli può rivelarsi un’ottima scelta per identificare i migliori trattamenti nei pazienti di età avanzata che cadono e si rompono l’anca. Questo è il principale risultato di uno studio condotto dai radiologi UC Davis e Wake Forest Baptist.
    Pubblicato sulle pagine dell’American Journal of Roentgenology, lo studio in questione ha dimostrato che la perdita di massa a livello del muscolo core, essenziale per la stabilità della colonna vertebrale, è stato associato a una diminuzione dei tempi di sopravvivenza dopo la frattura dell’anca.
    Questo studio è il primo a utilizzare la tecnologia a immagine per analizzare i dati che riguardano la sopravvivenza dopo la frattura dell’anca, una causa molto comune di ospedalizzazioni e disabilità tra gli americani di età avanzata.
    I medici in questo modo possono finalmente iniziare a utilizzare le informazioni legate ai casi di perdita di massa muscolare, per esempio la sarcopenia, per determinare il livello di fragilità ossea del paziente e impostare un trattamento guida.
    Questo è quanto rivelato da Robert Boutain, uno degli autori principali dello studio. Per fare un esempio concreto, è bene ricordare che Boutain ha affermato che un paziente con aspettativa di vita favorevole può essere trattato con artroplastica totale dell’anca, il che implica un minor rischio di reoperazione e, ovviamente, anche una migliore funzionalità dell’anca stessa.
    Per i pazienti con fragilità rilevata dalla CT si può invece optare per una chirurgia più semplice.

  • Nuova tecnica per il trattamento della frattura di Jones

    14/06/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    Secondo un recente studio, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Orthopedics, utilizzare una tecnica di plastificazione plantare per il trattamento delle fratture di Jones in alcuni atleti produce effetti maggiormente positivi rispetto a quelli riscontrati ricorrendo alla fissazione a vite intramidollare. A raggiungere questo risultato è stata un’equipe attiva presso la  Houston Methodist Orthopedics & Sports Medicine in Houston.
    Le fratture di Jones sono molto comuni tra gli atleti e interessano il quinto metatarso. La fissazione a vite intramidollare è il più comune trattamento chirurgico. La rifrattura, però, rappresenta una delle principali complicazioni da tenere in conto.
    Il dottor Kevin Varner, presidente della Houston Methodist Orthopedics & Sports Medicine, ha dichiarato che il trattamento delle fratture metatarsali con placcatura plantare laterale si è dimostrato biomeccanicamente più efficace rispetto alla fissazione a vite intramidollare.
    Varner ha raccomandato questa tecnica per i pazienti che hanno già avuto una risposta allo stress sul sito della frattura. Un esempio concreto sono i casi di ispessimento corticale. Ha anche affermato, nelle interviste rilasciate in seguito alla pubblicazione dell’articolo, che è un metodo efficace anche per risolvere la situazione di coloro i quali hanno una rifrattura consolidata.
    Sempre secondo Varner, le frontiere della ricerca futura potrebbero concentrarsi sul follow up a lungo termine e su un confronto diretto con la fissazione a vite intramidollare per quanto riguarda le tempistiche di unione, quelle relative al pieno ritorno all’attività sportiva e i tassi di rifrattura.

  • Bruciare grassi migliora la salute delle ossa

    14/06/2017 - i risultati di uno studio della UNC School of Medicine

    Bruciare grassi attraverso l’esercizio fisico migliora la salute delle ossa. Ad arrivare a questa importante conclusione sono stati i ricercatori attivi presso la UNC School of Medicine, che hanno dimostrato che l’esercizio fisico brucia i grassi all’interno del midollo, migliorando la qualità del tessuto osseo in poche settimane.
    Lo studio in questione, pubblicato sulle pagine della rivista Journal of Bone and Mineral Research, suggerisce inoltre che gli individui obesi, che spesso hanno una qualità ossea peggiore, esercitandosi fisicamente possono trarre vantaggi per la salute delle ossa anche maggiori rispetto a chi, invece, è più magro.
    La dottoressa Maya Stiner, una delle principali autrici della ricerca, ha affermato che una delle principali implicazioni del lavoro riguarda gli effetti sorprendenti dell’esercizio fisico, considerato di base buono, per la salute delle ossa.
    Sempre la dottoressa Stiner ha affermato che l’equipe, in un periodo molto breve, è riuscita a notare un miglioramento della salute ossea nei topi in seguito alla corsa. Anche se la ricerca su queste cavie non è direttamente traslabile sugli esseri umani, i tipi di cellule staminali che producono ossa e grasso nei topi sono gli stessi.
    Oltre alle implicazioni relative all’obesità e alla salute delle ossa questa ricerca, sempre secondo la dottoressa Styner, potrebbe illuminare in merito ad alcuni fattori che sono alla base della degradazione delle ossa e che sono associati a condizioni come il diabete, l’artrite, l’anoressia e l’utilizzo di farmaci steroidi.
    I pazienti della dottoressa Styner hanno praticamente tutti una familiarità con fratture e osteoporosi e la ricerca dimostra che è possibile ricorrere all’esercizio fisico per invertire alcuni effetti negativi sulle ossa.

  • Osteoartrite: uno studio conferma che la degenerazione del ginocchio si riduce con la perdita di peso

    19/05/2017 - i risultati del lavoro di un team dell'Università della California

    Un gruppo di ricercatori attivi presso il dipartimento di radiologia e immagini biomediche dell’Università della California – San Francisco hanno individuato come la degenerazione del ginocchio diminuisca in adulti obesi con osteoartite che perdono dal 5 al 10% del proprio peso. Gli effetti positivi sono stati presi in considerazione considerando una perdita di peso avvenuta in 4 anni.
    Ricordiamo che l’osteoatrtite è la forma più comune forma di artrite sul territorio USA e che coinvolge circa 30 milioni di persone. La condizione in questione è generata dalla rottura della cartilagine. Essere obesi o in sovrappeso è un fattore di rischio per l’osteoartrite in quanto è più alta la pressione esercitata sulle cartilagini del ginocchio.
    La Dottoressa Alexandra Gersing e i suoi colleghi dell’University of California – San Diego hanno notato hanno notato che un eccesso di grasso corporeo può aumentare i trigger infiammatori del sangue, il che implica un maggior rischio d’insorgenza dell’osteoartite.
    I ricercatori hanno analizzato i dati dello studio Ostheoartrithis Initiative, includendo 640 adulti sovrappeso od obesi. In tutti i casi, sulla base dei dati della risonanza magnetica, era presente un rischio di osteoartite. Dopo un periodo di 48 mesi, i ricercatori hanno monitorato le variazioni di peso e di degenerazione del tessuto cartilagineo.
    I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: partecipanti che avevano perso più del 10% del peso corporeo, soggetti che avevano perso tra i 5 e il 10% del peso corporeo e persone che non avevano subito variazioni di peso consistenti (queste ultime sono state annoverate nel gruppo di controllo).
    I risultati hanno portato alla luce come in chi aveva perso più del 5% del peso corporeo fosse più consistente la diminuzione del processo degenerativo della cartilagine del ginocchio.

  • Il rumore al ginocchio può essere un segno precoce di osteoartrite

    19/05/2017 - lo studio ha analizzato la situazione di 3.500 persone

    Un nuovo studio che utilizza i dati del database Ostheoartritis Initiative, che comprende le informazioni frutto del monitoraggio di circa 3.500 persone, indica che le persone che sentono rumori come gli scricchiolii al ginocchio o intorno ad esso potrebbero essere a maggior rischio di sviluppo di una condizione di osteoartrite.
    Nell’ambito del campione analizzato, il 75% dei soggetti che hanno sviluppato l’osteoartrite entro l’anno presentavano segni iniziali della patologia nelle immagini radiografiche ma poco dolore nelle fasi di avvio dello studio.
    Come ricordato dalla dottoressa Grace Lo, una delle autrici dello studio, molte delle persone che sviluppano l’osteoartrite non lamentano dolore nelle prime fasi della malattia. Grazie allo studio appena citato, è possibile comprendere come chi lamenta rumori al ginocchio sia a maggior rischio di sviluppare l’osteoatrite entro l’anno successivo.
    Sempre secondo la dottoressa Lo, Assistant Professor di Medicina presso il Baylor College of Medicine in Houston, gli studi che verranno effettuati in futuro e che targetizzeranno coloro i quali presenteranno segni di osteoartrite ai raggi x senza lamentarsi per il dolore ma segnalando rumori al ginocchio come lo scricchiolio, avranno l’obiettivo di prevenire gli episodi di dolore frequenti nella fase più acuta della patologia.
    Ricordiamo che lo studio citato ha coinvolto per la precisione 3.495 partecipanti, con una media d’età pari a 61 anni. E un BMI di 28,2 kg/m2.
    La frequenza di crepitii al ginocchio è stata monitorata tenendo conto delle domande provenienti dal Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score.

  • Il rumore al ginocchio può essere un segno precoce di osteoartrite

    19/05/2017 - lo studio ha analizzato la situazione di 3.500 persone

    Un nuovo studio che utilizza i dati del database Ostheoartritis Initiative, che comprende le informazioni frutto del monitoraggio di circa 3.500 persone, indica che le persone che sentono rumori come gli scricchiolii al ginocchio o intorno ad esso potrebbero essere a maggior rischio di sviluppo di una condizione di osteoartrite.
    Nell’ambito del campione analizzato, il 75% dei soggetti che hanno sviluppato l’osteoartrite entro l’anno presentavano segni iniziali della patologia nelle immagini radiografiche ma poco dolore nelle fasi di avvio dello studio.
    Come ricordato dalla dottoressa Grace Lo, una delle autrici dello studio, molte delle persone che sviluppano l’osteoartrite non lamentano dolore nelle prime fasi della malattia. Grazie allo studio appena citato, è possibile comprendere come chi lamenta rumori al ginocchio sia a maggior rischio di sviluppare l’osteoatrite entro l’anno successivo.
    Sempre secondo la dottoressa Lo, Assistant Professor di Medicina presso il Baylor College of Medicine in Houston, gli studi che verranno effettuati in futuro e che targetizzeranno coloro i quali presenteranno segni di osteoartrite ai raggi x senza lamentarsi per il dolore ma segnalando rumori al ginocchio come lo scricchiolio, avranno l’obiettivo di prevenire gli episodi di dolore frequenti nella fase più acuta della patologia.
    Ricordiamo che lo studio citato ha coinvolto per la precisione 3.495 partecipanti, con una media d’età pari a 61 anni. E un BMI di 28,2 kg/m2.
    La frequenza di crepitii al ginocchio è stata monitorata tenendo conto delle domande provenienti dal Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score.

  • Il fumo aumenta la probabilità di dover ricorrere alla rioperazione

    03/05/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    Il fumo implica che un paziente sottoposto ad artroplastica totale del ginocchio abbia maggiori probabilità di tornare in ospedale per un reintervento? I ricercatori del Rothman Institute della Thomas Jefferson University di Philadelphia hanno cercato risposte definitive in merito. Il loro lavoro dedicato al tema è stato pubblicato lo scorso 15 marzo sulle pagine della rivista Journal of Bone and Joint Surgery.
    Il dottor Austin, uno dei coautori dello studio in questione, ha affermato che il team ha notato come tra i fumatori ci fosse una tendenza a incontrare complicazioni per quanto riguarda il processo di guarigione dalle ferite.
    I membri del team che ha curato il lavoro hanno quindi passato in rassegna la letteratura, scoprendo una debolezza nei dati precedenti dovuta in particolare al fatto di aver preso in esame delle coorti di dimensioni molto contenute.
    I ricercatori hanno individuato circa 17000 situazioni congiunte di pazienti che avevano subito l’artroplastica totale del ginocchio. Il campione è stato suddiviso in tre gruppi, considerando i fumatori, gli ex fumatori e i pazienti che, invece, non avevano mai fumato.
    Il team ha scoperto che i fumatori attuali avevano un tasso di rioperazione più elevato a causa della sepsi rispetto ai non fumatori. Nel caso degli ex fumatori, invece, maggiore era il numero di pacchetti di sigarette consumato in un decennio, più alta era la probabilità d’incorrere in una rioperazione.
    Lo studio non è riuscito a mettere a fuoco la differenza tra non fumatori ed ex fumatori per quanto riguarda il tasso di complicazioni dopo l’operazione.

  • Le cellule stampate in 3D riescono a sopravvivere nel corpo umano

    03/05/2017 - i risultati di uno studio svedese

    Sta succedendo lentamente, ma diversi team scientifici stanno dimostrando di essere in grado di stampare cellule in 3D e d’impiantarle con successo nel corpo umano. Secondo Clare Scott, uno degli autori del portale 3DPrintBoard.com, è ora possibile stampare un tessuto in 3D che può sopravvivere e crescere all’interno degli animali. Per fare un esempio concreto, è possibile ricordare i vasi sanguigni che sono stati stampati e impiantati in scimmie rhesus e topi.
    Un altro caso di successo legato alle cellule della cartilagine umana stampate in 3D arriva dalla Svezia, per la precisione dalla Chalmers University of Technology di Gotenburg. Qui è stato utilizzato un biomateriale noto con il nome di Cellink, caratterizzato dalla presenza d’idrogel e di cellule di cartilagine umana.
    Il materiale in questione è stato subito impiantato in alcuni topi. Non solo è stato possibile apprezzare una crescita e una sopravvivenza del tessuto cartilagineo, ma anche la sua vascolarizzazione.
    Il fatto che sia stato impiantato nei topi da laboratorio esattamente dopo la stampa è stato significativo. Lars Kölby, consulente presso il dipartimento di chirurgia plastica dell’ospedale universitario di Sahlgrenska, ha descritto la formazione di queste strutture.
    Ha affermato che quello che sono riuscii a vedere dopo circa 60 giorni è molto simile alla cartilagine. Ha inoltre ricordato che è stata messa in atto un’ulteriore stimolazione con cellule staminali, che hanno promosso nuove divisioni cellulari.
    Secondo Kölby, uno dei motivi del successo di questo progetto è legato alla collaborazione felice tra specialisti attivi in diverse discipline.

  • Team scientifico rivela i segreti del tendine d’Achille

    10/04/2017 - i risultati di uno studio tedesco

    Il tendine d’Achille, il più forte del corpo umano, è in grado di sostenere carichi dieci volte superiori al peso del corpo quando il soggetto sta saltando. Rainer Burgkart, medico attivo presso l’Università Tecnica di Monaco, ha ricordato che, anche se vengono curate lesioni
    al tendine d’Achille ogni giorno, si sanno ancora poco sulla struttura istologica, sulla micromeccanica e sui processi biochimici.

    A tal proposito Burgkart e il suo team hanno effettuato uno studio con l’obiettivo di capire di più sulla fortissima connessione tra l’osso e il tendine. Hanno scoperto l’esistenza di uno strato di tessuto tra i tendini e le ossa composto da fibre proteiche, che garantiscono la
    forza. Le suddette fibre sono il motivo per cui gli atleti riescono a effettuare atterraggiimportanti senza mettere a rischio il legame tra il tendine e l’osso della caviglia.

    I ricercatori del team di Burgkart hanno scoperto l’esistenza delle fibre sottili adottando un nuovo approccio interdisciplinare. Fino ad ora si pensava infatti che i tendini fossero attaccati direttamente all’osso. In realtà è presente una zona di transizione, dove il tessuto
    tendineo si divide in numerose fibre sottili con una composizione chimica caratteristica. Le suddette fibre sono saldamente ancorate alla superficie frastagliata dell’osso e sono

    meccanicamente molto resistenti. Grazie al ricorso ad anticorpi fluoresecenti, il team di

    Burgkart ha scoperto che le fibre hanno una composizione chimica diversa rispetto a

    quella del tendine. Nell’ultima parte dello studio è stato evidenziato come, a seconda della

    direzione del movimento, si attivino alcune fibre piuttosto che altre.

  • Chirurgia sostitutiva del ginocchio: risultati migliori sui pazienti con sintomi severi

    10/04/2017 - i risultati di uno studio congiunto tra USA e Paesi Bassi

    L’intervento di chirurgia sostitutiva del ginocchio può avere effetti positivi minimi sui pazienti con sintomi meno gravi. Il discorso cambia quando si analizza la situazione di chi, invece, presenta una sintomatologia severa. In questo caso l’intervento chirurgico può migliorare notevolmente la qualità della vita. Questo è il risultato di uno studio statunitense, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine del British Medical Journal.
    Da ricordare prima di tutto è che negli USA circa il 12% della popolazione è affetta da osteoartrite al ginocchio. Dal 2000 è raddoppiato il tasso annuo d’interventi di chirurgia sostitutiva. Il motivo principale di questo cambiamento riguarda l’inclusione di pazienti con sintomi meno severi.
    Ogni anno vengono effettuati più di 600.000 interventi, con un costo complessivo che supera i 10 miliardi di dollari. Partendo da questo quadro due team clinici, uno con sede negli USA e il secondo nei Paesi Bassi, hanno valutato l’impatto dell’intervento di chirurgia sostitutiva del ginocchio su pazienti con osteoartrite.
    Hanno analizzato due studi statunitensi. Il primo comprendeva 4.498 partecipanti di età compresa tra i 45 e i 79 anni con un alto rischio di osteoartrite. Il secondo, invece, prendeva in esame la situazione di 2.907 pazienti i cui dati erano riportati nel Multicenter Osteoarthritis Study.
    La situazione dei partecipanti al primo studio è stata seguita per 9 anni. Quella dei soggetti inclusi nel secondo, invece, per due. La qualità della vita è stata misurata con una scala che considerava le funzioni mentali e quelle fisiche.
    I risultati hanno portato alla luce un miglioramento più importante nei pazienti con punteggi di funzionalità fisica più bassi prima dell’intervento. Questo studio è un punto di partenza interessante per quanto riguarda la necessità di effettuare ulteriori ricerche e di confrontare l’efficacia della sostituzione totale del ginocchio con quella d’interventi conservativi meno costosi, da effettuare sui pazienti con sintomi meno gravi.

  • Impatto della chirurgia bariatrica sui risultati della sostituzione articolare

    29/03/2017 - uno studio eseguito da un team attivo presso l'Hospital for Special Surgery

    Uno studio eseguito da un team attivo presso l’Hospital for Special Surgery di New York ha portato alla luce che nei pazienti con obesità patologica, sottoposti a chirurgia bariatrica eseguita prima dell’operazione chirurgica di sostituzione del ginocchio o dell’anca, sono minori le complicazioni post operatorie. Non viene ridotto però il rischio di ricorso alla revisione chirurgica.
    Questo è il principale risultato di uno studio che è stato presentato lo scorso 14 marzo nel corso dell’American Academy of Orthopedic Surgeons Annual Meeting. Come affermato da Alexander McLawhorn, uno degli autori dello studio, con questi dati è possibile inquadrare come la chirurgia bariatrica prima della sostituzione articolare come una soluzione non pericolosa.
    L’obesità patologica, che si contraddistingue per un indice di massa corporea superiore ai 40 kg/m2, è associata a scarsi risultati post operatori dopo l’artroplastica totale del ginocchio e dell’anca. Da ricordare è anche l’aumento del rischio di ricorso alla chirurgia di revisione.
    Precedenti studi hanno dimostrato che la chirurgia bariatrica in pazienti gravemente obesi può ridurre il peso e la comorbidità. Per ora i medici non avevano mai analizzato quanto la chirurgia bariatrica potesse essere utile in pazienti sottoposti a protesi articolari.
    Per far luce sulla questione, il team dell’Hospital for Special Surgery ha analizzato la situazione di tutti i pazienti obesi sottoposti a sostituzione totale dell’anca e del ginocchio dopo la chirurgia bariatrica tra il 1997 e il 2011.
    I risultati hanno dimostrato come la chirurgia bariatrica abbia diminuito il rischio di comorbidità e di complicanze in ospedale sia nel caso della sostituzione totale del ginocchio, sia in quello dell’intervento all’anca.

  • Nuova procedura per la produzione di cartilagine approvata dalla FDA

    29/03/2017 - approvata negli USA la tecnologia MACI

    Christian Latterman, direttore del Cartilage Repair and Restoration presso il dipartimento di ortopedia e medicina dello sport dell’Università del Kentucky, è diventato il primo medico dello Stato americano a operare con la tecnologia MACI (Matrix Associated Chondrocyte Implantation).
    La tecnologia MACI prevede l’utilizzo della cartilagine del paziente per creare un’impalcatura che può essere utilizzata per riparare difetti e lesioni con impianto nella zona interessata dal problema. Per inserire l’impalcatura è necessario effettuare piccole incisioni.
    Secondo Latterman, con la tecnica MACI i pazienti possono recuperare in minor tempo. Introdotta da poco negli USA grazie all’approvazione della FDA, ha già alle spalle una storia in Europa. Negli ultimi anni Latterman ha lavorato per aiutare la tecnologia MACI a farsi strada tra gli ostacoli della regolamentazione, fino ad arrivare all’approvazione da parte della FDA.
    Nello stesso tempo Latterman ha testato su 150 pazienti una versione meno sofisticata della suddetta tecnologia.
    Nelle interviste rilasciate, ha ricordato come in questi anni il centro presso il quale opera sia diventato un punto di riferimento molto importante per i numerosi pazienti che, ogni anno negli USA, si rivolgono a strutture specializzate per problemi legati alla cartilagine.
    Come già ricordato, questa tecnologia ha già una storia importante in Europa. La prima paziente sulla quale è stata utilizzata in UK è una diciottenne che soffriva di problemi alla cartilagine del ginocchio come conseguenza di diverse cadute che avevano coinvolto la rotula.
    La ragazza aveva sperimentato dolore per circa un anno e, prima del ricorso a MACI, era stata sottoposta per diverso tempo a procedure non chirurgiche.

  • Stampa 3D: a Hong Kong utilizzata per la prima volta per l’osso di una caviglia

    11/03/2017 - intervento su un 35enne con alle spalle un incidente in moto

    Nel mese di gennaio per la prima volta i medici di un ospedale di Hong Kong, per la precisione il Pamela Youde Nethersole Eastern Hospital, hanno utilizzato la replica 3D di un astragalo, il piccolo osso che connette la parte bassa della gamba al piede, nel corso di un intervento chirurgico al quale è stato sottoposto un trentenne che era rimasto coinvolto in un incidente in moto.
    L’anonimo paziente aveva subito danni alla caviglia sinistra nel corso di un incidente in moto nell’aprile 2015, con conseguente perdita dell’astragalo. I medici avevano detto che il recupero non era possibile. La tecnologia della stampa 3D era già stata introdotta negli ospedali pubblici 2/3 anni fa, ma i medici avevano detto che, per via della rarità della lesione del paziente (a loro dire ce ne erano solo 20 similari), questo è stato il primo caso di riproduzione di astragalo.
    Il Dottor Chiu Shin-Yeung, consulente di reparto presso l’ospedale dove è stato effettuato l’intervento chirurgico, ha affermato che senza le nuove tecnologie dello stampaggio 3D i medici avrebbero dovuto collegare direttamente le ossa della parte bassa della gamba e quelle del piede, con conseguenti limitazioni nel movimento della caviglia.
    Per produrre l’astragalo tramite stampa 3d i medici del Pamela Youde Nethersole Eastern Hospital si sono basati su una scansione tomografica computerizzata del piede sano. Secondo Chiu, lo stampaggio 3d può rappresentare una soluzione molto valida per il trattamento dei malati di cancro alle ossa.

  • Le proteine del midollo osseo possono regolare la crescita delle ossa

    11/03/2017 - il risultato del lavoro di un'equipe dell'Università del Wisconsin

    Un’equipe di ricercatori attiva presso l’Università del Wisconsin ha appena pubblicato un nuovo lavoro dedicato alla crescita ossea. La ricerca in questione è stata pubblicata online lo scorso 2 febbraio sulle pagine dell’ultimo Stem Cell Reports. Il lavoro contiene informazioni su due proteine che si possono trovare nel midollo osseo e che si possono inquadrare come regolatrici per quelle cellule che hanno la funzione di creare nuovo tessuto osseo.
    Lo studio in questione, il cui titolo in inglese è “Identification of Bone Marrow-Derived Soluble Factors Regulating Human Mesenchymal Stem Cells for Bone Regeneration”, ha messo in evidenza come esponendo le cellule staminali mesenchimali a una combinazione di lipocalin-2 e prolattina sia possibile ridurre il processo di senescenza, che priva naturalmente le cellule del potere di crescita e rigenerazione.
    Wan Ju-Li, professore di ortopedia e ingegneria biomedica presso l’Università del Wisconsin, nel comunicato ufficiale dedicato allo studio ha fatto notare come la crescita di nuovo tessuto osseo attraverso la medicina rigenerativa renda necessario un gran numero di cellule di qualità. Nel corpo, però, le cellule staminali sono rare.
    Ma quando diventa possibile controllare in laboratorio la crescita cellulare, la differenziazione e la qualità delle formazioni cellulari è possibile creare ceppi di cellule per applicazioni terapeutiche finalizzate alla rigenerazione ossea. Tutto ciò, ovviamente, rende necessario un processo d’impianto nelle zone dove il paziente ha problemi.
    Sempre secondo quanto dichiarato dal Professor Wan Ju-Li, lo studio ha inquadrato gli effetti di prolattina e lipocalin-2 nel processo di rigenerazione di ossa del cranio di alcuni topi. A suo avviso lo studio rappresenta un’importante evidenza per i chirurghi ortopedici che, a suo dire, potranno affrontare in futuro dei processi riparativi di lesioni anche critiche.

  • Individuato un collegamento tra il dolore alla spalla e il rischio crescente di problemi al cuore

    20/02/2017 - i risultati di uno studio USA

    Un nuovo studio, condotto da un’equipe di ricercatori attiva presso l’University of Utah School of Medicine, gli individui con sintomi che mettono a rischio la loro salute cardiaca possono avere maggiori probabilità di soffrire di problemi alla spalla, in primo luogo di dolori articolari e di lesioni alla cuffia dei rotatori.
    Secondo quanto affermato da Kurt Heggman, uno degli autori dello studio nonché professore di medicina preventiva al Rocky Moutain Center for Occupational and Enviromental Health, se un paziente ha problemi alla cuffia dei rotatori, questa condizione potrebbe essere il segno di una patologia più grave e della necessità di gestire i fattori di rischio per le malattie cardiache.
    Secondo la ricerca in questione, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine del Journal of Occupational and Enviromental Medicine, lo stress fisico ripetuto è particolarmente accusato dalle articolazioni della spalla e dai muscoli e da tendini che le circondano.
    Basta pensare alla fatica che può fare un lanciatore che tira una palla da baseball. Tale sforzo fisico, a lungo andare, può rivelarsi irritante. Da ricordare a tal proposito è che questo studio si basa su precedenti ricerche, che avevano individuato una correlazione tra problemi cardiaci e tendenza a soffrire di tunnel carpale e gomito del tennista. Con l’attuale studio condotto da Heggman e colleghi a questo elenco si aggiungono anche i problemi alle spalle.
    I risultati hanno portato alla luce che maggiore era la presenza di fattori di rischio cardiaco come ipertensione e colesterolo alto, maggiore era la probabilità di soffrire di dolore alla spalla.

  • Associazioni specifiche tra sessi individuate durante la riabilitazione post artroplastica totale dell’anca

    20/02/2017 - scoperte da un team di ricercatori dell'Università dell'Illinois

    I ricercatori dell’Università dell’Illinois hanno individuato delle associazioni specifiche tra sessi in occasione del monitoraggio dei parametri di riabilitazione – livello di dolore, funzionalità, forza e meccanica dell’andatura – dopo un intervento di artroplastica totale dell’anca in pazienti affetti da osteoartrite.
    I contenuti di questo studio sono stati presentati pubblicamente in occasione dell’annuale meeting dell’American School of Rheumatology.
    La dottoressa Kharma C.Foucher, nel corso della presentazione ha ricordato come nei lavori passati siano state messe in secondo piano delle importanti differenze monitorando assieme la situazione di pazienti di entrambi i sessi.
    Foucher e i suoi colleghi, per lo studio in questione hanno preso in esame complessivamente 124 pazienti, monitorandoli sia prima sia dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico di artroplastica totale dell’anca. Sul totale del campione, 64 pazienti erano di sesso femminile e avevano un’età media di 61 anni. I ricercatori hanno analizzato i dettagli del movimento dell’anca nel corso di una passeggiata a velocità normale. In seguito hanno valutato la forza muscolare attraverso un test manuale. Per quanto riguarda il monitoraggio della funzionalità e del dolore, hanno preso come punto di riferimento l’Harris Hip Score (HHS). Hanno identificato una relazione tra i cambiamenti nei risultati dell’HHS e delle modifiche nella forza muscolare.
    Sui pazienti di sesso maschile, invece, i ricercatori hanno individuato una correlazione tra i miglioramenti nel dolore e una crescita del range di movimento. Per le donne, invece, quest’ultimo fattore è risultato associato a dei miglioramenti dal punto di vista della funzionalità dell’anca.

  • Diabete: stimolare le cellule staminali delle ossa può favorire la guarigione delle fratture

    26/01/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    Un’equipe di ricercatori ha scoperto l’esistenza di una proteina in grado di stimolare le cellule staminali delle ossa di topi diabetici, aiutando così la guarigione delle fratture. Si potrebbe trattare di un buon punto di partenza per migliorare la guarigione ossea nelle persone affette da diabete.
    Il team in questione, proveniente dalla University School of Medicine di Palo Alto, ha condotto uno studio i cui risultati sono stati riassunti in un articolo comparso sulle pagine della rivista scientifica Science Translational Medicine.
    Il Dottor Michael T. Longaker, professore di chirurgia plastica ricostruttiva e autore senior dello studio, riassumendo le peculiarità salienti del lavoro ricorda che l’equipe ha scoperto il motivo per cui alcuni pazienti diabetici non guariscono bene dalle fratture, ed è arrivata a una soluzione che può essere applicata durante l’intervento chirurgico per riparare la lesione.
    Data questa doverosa premessa è bene ricordare che le difficoltà nella guarigione ossea sono tra le maggiori complicazioni incontrate da chi soffre di diabete. Nello studio in questione, il Dottor Longaker e la sua equipe hanno notato una riduzione nell’attività delle cellule staminali ossee nel midollo di topi allevati per sviluppare il diabete.
    Negli esperimenti successivi l’equipe che ha condotto lo studio, che si basa su altri lavori che hanno portato all’individuazione e alla descrizione di una popolazione di cellule che ha un funzionamento simile a quello delle staminali scheletriche, ha scoperto che esiste una proteina in grado di stimolare l’attività delle cellule staminali. Quando hanno applicato la proteina in questione nelle zone interessate dalle fratture sui topi diabetici, è stato possibile notare un miglior processo di guarigione.

  • Lesioni alla spalla: approvato il primo progetto per trattarle con cellule staminali adipose umane

    26/01/2017 - i risultati di uno studio USA

    La FDA ha approvato ufficialmente il primo progetto sperimentale made in USA finalizzato al trattamento delle lesioni alla spalla con l’utilizzo di cellule staminali adipose umane. Il progetto in questione vede in prima linea i chirurghi ortopedici Jason Hurd e Mark Lundeen. In un comunicato stampa divulgato lo scorso 4 gennaio, i due hanno ricordato come il processo di trattamento inizi con un intervento di liposuzione all’addome, con la successiva separazione delle cellule staminali adulte.
    Le suddette cellule vengono poi iniettate nel punto della cuffia dei rotatori interessato dalle lesioni. La raccolta delle cellule staminali, il loro trattamento e l’iniezione nella spalla sono processi che vengono completati nell’arco della medesima giornata.
    Il dottor Mark Lundeen, nel corso delle varie dichiarazioni rilasciate ai media, ha affermato che, sulla base dei suoi studi, le cellule staminali adipose umane sono contraddistinte da un’efficacia di guarigione che può riguardare diverse zone del corpo.
    Lundeen ha anche dichiarato che questo progetto, nonostante siano ancora pochi gli studi clinici che attestano l’efficacia curativa delle cellule staminali umane derivanti da tessuto adiposo, ha dato a lui e alla sua equipe molta fiducia per quanto riguarda il futuro del trattamento dei danni alla cuffia dei rotatori, un problema che, come chirurgo ortopedico, nota molto spesso nei suoi pazienti.
    Lundeen ha anche specificato che su questo tema esistono numerosi studi preclinici, uno dei quali è stato condotto presso la Sanford Reasearch (Sioux Falls, Dakota), con l’obiettivo di studiare l’efficacia delle cellule staminali mesenchimali.

  • Le cellule del naso fanno crescere la cartilagine del ginocchio

    10/01/2017 - i dettagli pubblicati su un articolo di The Lancet

    Lo studio di cui si sta per parlare ha coinvolto solo dieci pazienti, ma la speranza è che il numero in questione possa aumentare nel tempo. Nello specifico si tratta di soggetti con in comune dei danni alla cartilagine del ginocchio. I loro medici hanno raccolto le cellule del naso di ciascun paziente, con l’obiettivo di utilizzarle per far crescere nuovo tessuto cartilagineo da trapiantare nelle ginocchia danneggiate. A due anni di distanza, analizzando nuovamente la situazione del gruppo dei dieci pazienti in questione, è stato possibile riferire miglioramenti nella funzionalità del ginocchio e nel dolore.
    I dettagli dello studio in questione sono stati pubblicati su un articolo comparso sulla nota rivista scientifica The Lancet. Lo studio, condotto da un team attivo presso l’ospedale universitario di Basilea (Svizzera), ha coinvolto un gruppo di dieci pazienti di età compresa tra i 18 e i 55 anni.
    Tutti, come sopra specificato, avevano dei danni al tessuto cartilagineo del ginocchio. I medici hanno prelevato tramite biopsie in anestesia locale delle cellule dei loro setti nasali. Lo step successivo ha visto poi la coltivazione di condrociti isolati dal tessuto prelevato con la biopsia e stimolati con fattori di crescita per due settimane.
    Le cellule in questione sono state poi sistemate su scaffold in collagene. Dopo due settimane è stato possibile apprezzare un aumento di spessore della cartilagine pari a 2 mm. I chirurghi hanno rimosso la cartilagine del ginocchio danneggiata dei pazienti presi in esame e l’hanno sostituita con gli innesti in questione dopo averli appositamente tagliati.
    Le indagini effettuate due anni più tardi hanno portato alla luce la presenza di un nuovo tessuto con un a composizione molto simile a quella della cartilagine.

  • L’obesità influisce sulla durata degli impianti ortopedici al ginocchio

    10/01/2017 - i risultati di uno studio statunitense

    Che il BMI influisca sulle complicanze che possono essere incontrate dai pazienti dopo un’artroplastica totale al ginocchio è cosa nota. Un team di ricercatori attivo presso l’Università di Rochester (Minnesota) ha analizzato i dati riguardanti i tassi di reintervento e la sopravvivenza degli impianti, notando una corrispondenza tra aumento del BMI e necessità di sottoporre le protesi a revisione. Lo studio in questione è stato pubblicato sulle pagine della rivista The Journal of Bone & Joint Surgery. Il Dottor Daniel J. Berry, che lavora presso il reparto di chirurgia ortopedica e biostatistica della Mayo Clinic di Rochester, ha analizzato con la sua equipe i dati di 16136 pazienti sottoposti ad artroplastica al ginocchio in un lasso di tempo compreso tra il 1985 e il 2012.
    IL BMI medio del campione in questione è risultato pari a 31,3 kg/m2. Secondo i dati della ricerca, maggiore è l’indice di massa corporea, maggiore è il tasso di reintervento, di revisione e di rimozione dell’impianto. Nei pazienti con un BMI superiore ai 35 kg/m2 è stato individuato anche un maggior rischio d’incorrere in infezioni.
    A cosa è dovuta questa conclusione? Secondo quanto affermato da Berry, a una maggior difficoltà nell’operare i pazienti con un BMI alto, nei quali è più lenta la guarigione del tessuto adiposo e dei muscoli.
    Da non trascurare è anche il ruolo di comorbilità mediche come il diabete mellito e la carenza di proteine.
    Secondo quanto affermato sempre da Berry, è per questo fondamentale che il chirurgo prenda attentamente in considerazione la situazione clinica globale del paziente prima di optare per la chirurgia sostitutiva del ginocchio.

  • La FDA ha approvato il primo scaffold autologo per la riparazione di difetti alla cartilagine del ginocchio

    22/12/2016 - via libera al progetto Maci

    La FDA (Food and Drug Administration) ha approvato la produzione di Maci, uno scaffold realizzato con condrociti autologhi coltivati su una base di collagene porcino. L’obiettivo primario di questa struttura è legato alla riparazione dei difetti della cartilagine del ginocchio.
    Maci è il primo prodotto approvato dalla FDA a vedere concretizzate alcune delle più importanti tecniche di ingegneria dei tessuti con l’obiettivo di far crescere le cellule su uno scaffold utilizzando il tessuto cartilagineo sano del ginocchio del paziente.
    I problemi al ginocchio sono molto comuni e, soprattutto, coinvolgono persone di ogni età. I difetti relativi alla cartilagine del ginocchio in particolare possono derivare da lesioni successive al fatto di aver sforzato il ginocchio oltre i suoi limiti. Tra le cause della situazione è possibile ricordare anche la debolezza muscolare e l’usura generale.
    A seconda della natura del difetto è necessario mettere in campo un approccio specifico per quanto riguarda il trattamento. La terapia deve essere quindi studiata su misura per le esigenze del singolo paziente. L’introduzione di Maci, come ricordato dalla dottoressa Celia Witten, vicedirettore del FDA's Center for Biologics Evaluation and Research, offre ai chirurghi molte opzioni aggiuntive per quanto riguarda i trattamenti.
    Maci è composto da cellule del paziente che sono collocate su una membrana realizzata in collagene porcino e collocata nella zona in cui precedentemente è stato rimosso il tessuto danneggiato o difettoso. La somministrazione deve essere eseguita da un chirurgo formato in maniera specifica. L’area della membrana da chiamare in causa dipende dall’estensione della suddetta zona.

  • Nuova app che migliora la vita dei pazienti: diagnosi in pochi minuti e intervento il giorno seguente

    22/12/2016 - un progetto del ROC di Houston

    Il ROC (acronimo per Reconstructive Orthopedic Center) di Houston, con un comunicato stampa pubblicato lo scorso 13 dicembre, ha ufficializzato il lancio di un’app per browser che si propone di fare la differenza nel modo in cui vengono diagnosticate le lesioni ortopediche che, in seguito, vengono operate tenendo conto di protocolli di chirurgia di urgenza.
    L’app in questione si chiama ASAP (acronimo per as soon as possibile) e permette ai pazienti di consultare un chirurgo ortopedico del ROC da qualsiasi posto abbia una connessione internet (il parco giochi, il domicilio privato, l’ambiente di lavoro). Il dottor Marcos Masson, uno dei fondatori del ROC di Houston, ha ricordato come, in molti casi, i pazienti facciano esperienza con un recupero più rapido nei casi in cui vi è un intervento tempestivo, possibilmente nell’arco delle 24 ore.
    Più veloce è l’intervento su una lesione traumatica, più rapido sarà il recupero e la ripresa totale delle normali attività. Attraverso l’app per browser ASAP i chirurghi ortopedici del ROC di Houston possono essere contattati 24 ore su 24. I vantaggi riguardano però anche i medici, che hanno la possibilità di revisionare le lesioni dei singoli pazienti e di trattarli in maniera più rapida ed efficace. Sulla base della natura delle lesioni, dei sintomi e dei risultati delle radiografie, il medico può consigliare il trattamento migliore, che può andare dal semplice follow up di routine all’intervento chirurgico di urgenza. Gli interventi chirurgici di questo tipo vengono programmati tramite il ROC Urgent Care Program.

  • Nuova tecnica per riparare le lesioni cartilaginee al menisco

    09/12/2016 - il risultato di uno studio svedese

    Le lesioni al crociato anteriore e al menisco sono, anche se non gravi, comunque dolorose. Se Il paziente è un atleta professionista, una lesione di questo genere può voler dire perdere l’intera stagione sportiva. Di ragioni dietro alle lesioni alla cartilagine articolare ce ne possono essere davvero tante. Tra queste è possibile ricordare l’età, ma anche i traumi da sport e da lavoro.
    Purtroppo, come dimostrano i dati raccolti di recente dall’Università di Copenaghen, queste lesioni si accumulano e la cartilagine non sembra avere la capacità di rigenerarsi. Il reumatologo Michael Kjaer si sta avvicinando a questo risultato con un nuovo materiale in grado di misurare l’esistenza di un processo di riparazione cartilaginea. Tutto questo è possibile controllando i livelli di un isotopo radioattivo come il carbonio-14.
    A causa di anni e anni di esperimenti nucleari, i livelli di carbonio-14 hanno subito importanti variazioni nell’atmosfera. Esaminando la quantità di carbonio presente nella cartilagine, il Dottor Kjaer e il suo tema sperano di arrivare a misurare con precisione anche il tasso di crescita o di rigenerazione della stessa.
    La sua ipotesi vede in primo piano il fatto che se la cartilagine è stata sostituita, i livelli di carbonio-14 nel collagene dovrebbero essere molto simili a quelli atmosferici. Se, invece, si parla di cartilagine non cresciuta o rigenerata, il livello di carbonio-14 sarà allineato con quello atmosferico al momento della crescita.
    Il Dottor Kjaer ha studiato questo fenomeno in pazienti che hanno avuto problemi al ginocchio e si trovavano ad avere a che fare con lesioni anche molto importanti.
    Dopo aver misurato i livelli di carbonio-14, il Dottor Kjaer e il suo team hanno scoperto che, nonostante il deterioramento, la cartilagine non si rigenera dopo aver raggiunto la maturità.

  • I rivestimenti di nanofibre possono aiutare a combattere le infezioni sulle protesi

    09/12/2016 - una ricerca della John Hopkins University

    Lavorando su dei topi, un’equipe scientifica attiva presso la John Hopkins University, hanno dimostrato come i rivestimenti in nanofibre siano potenzialmente in grado d’intervenire contro le infezioni.
    I suddetti rivestimenti possono per esempio essere applicati su delle protesi. Una relazione relativa al suddetto studio è stata pubblicata online lo scorso 24 ottobre tra gli atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze.
    Uno dei coautori, il dottor Lloyd S. Miller, ha dichiarato che, prima di questo lavoro, l’approccio principale per combattere le infezioni sugli impianti protesici prevedeva la somministrazione di un antibiotico alla volta, con poca possibilità di avere un controllo sui tempi di rilascio del farmaco.
    Il rivestimento in nanofibre oggetto della ricerca ha richiesto un impegno di ben tre anni di lavoro. Come spiegato dal dottor Miller stesso, l’obiettivo delle equipe scientifiche che hanno lavorato alla sua creazione era quello di creare un rivestimento adatto al maggior numero possibile di impianti protesici.
    Per il lavoro sono stati utilizzati due polimeri biocompatibili e riassorbibili – entrambi approvati dalla FDA – che sono stati caricati con la rifampicina, in combinazione con altri tre antibiotici.
    Dopo due settimane è stato possibile procedere al follow up. Quello che è stato osservato vede in primo piano il fatto che, la generale perdita di massa ossea che si verifica in corrispondenza di articolazioni infette non si era verificata nei topi che avevano ricevuto la somministrazione del rivestimento antibiotico.
    Questo risultato ha portato alla luce che, con le tecnologie del passato, era possibile solo ridurre la carica batterica complessiva.

  • Le piante carnivore ispirano progressi per i rivestimenti degli impianti

    22/11/2016 - uno studio dell'Università di Harvard

    Le piante carnivore hanno rappresentano un motivo d’ispirazione per un’equipe scientifica dell’Università di Harvard, che si è occupato di lavorare al miglioramento della resistenza batterica degli impianti ortopedici. Come riportato in un comunicato stampa diffuso lo scorso 31 ottobre, il team di ricercatori guidato dalla Dottoressa Joanna Aizenberg ha realizzato dei rivestimenti scivolosi superficiali con teflon e altri materiali che impediscono la formazione di biofilm sugli impianti ortopedici, preservando così le innate risposte immunitarie contro i batteri patogeni.
    La tecnologia in questione si basa sul concetto di superficie porosa e, in particolare, alle piante carnivore della specie Nephentes, che utilizza la superficie porosa delle foglie per fermare l’acqua e per creare un ambiente adatto alla cattura dei piccoli insetti di cui si nutre.
    La Dottoressa Aizenberg, prima di lavorare a questa ricerca, era riuscita a progettare rivestimenti industriali e medici in grado di respingere sostanze indesiderate come petrolio, ghiaccio e materiali biologici.
    I rivestimenti in questione, denominati SLIPS, hanno portato a delle ottime risposte in vivo: hanno infatti resistito a infezioni da parte di batteri e sono stati associati a una minore infiltrazione da parte di cellule immunitarie e a meno ascessi infiammatori.
    Allo stato attuale, molti pazienti che vengono operati e che ricevono un impianto spesso si vedono prescrivere degli antibiotici per tenere sotto controllo le infezioni batteriche. Secondo quanto affermato dalla Dottoressa Aizenberg, il team dell’Università di Harvard ha sviluppato un ampio portfolio di tecniche di rivestimento che possono essere applicate a impianti di diversi materiali.

  • Nuove informazioni sulla distribuzione del dolore al ginocchio

    22/11/2016 - uno studio della Boston University

    Una nuova ricerca medica, che coinvolge equipe scientifiche attive presso la Boston University School of Medicine e presso altri istituti come la University of Alabama School of Medicine, la Boston University School of Public Health e la University of California, ha portato alla luce il fatto che le persone che soffrono di dolore al ginocchio possono effettivamente soffrire di dolore anche alle articolazioni e che tale situazione non segue alcun tipo di modello.
    Il Dottor David T. Felson, professore di medicina e sanità pubblica presso la Boston University School of Medicine, ha ricordato che, nel corso della ricerca sopra citata, è stata monitorata la situazione di 3.500 persone ad alto rischio di osteoartrite e di età compresa tra i 50 e i 79 anni.
    Il Dottor Felson ha ricordato che nel corso della ricerca è stata esaminata la distribuzione del dolore articolare che si sviluppa in persone con dolore e osteoartrite al ginocchio. Molti hanno suggerito il fatto che i giunti adiacenti sono spesso colpiti per via di cambiamenti che intervengono nel corso dell’andatura a causa del dolore al ginocchio.
    Lo studio ha individuato il fatto che le persone con dolore al ginocchio hanno spesso dolore anche ad altre articolazioni, e che la distribuzione del suddetto dolore è casuale e non assolutamente prevedibile. I sintomi in questione suggeriscono che gli adattamenti biomeccanici per il dolore al ginocchio sono individualizzati, ma che il dolore articolare che si sviluppa può essere causa di cambiamenti effettivi nelle attività quotidiane.

  • Nuove informazioni sulla distribuzione del dolore al ginocchio

    22/11/2016 - uno studio della Boston University

    Una nuova ricerca medica, che coinvolge equipe scientifiche attive presso la Boston University School of Medicine e presso altri istituti come la University of Alabama School of Medicine, la Boston University School of Public Health e la University of California, ha portato alla luce il fatto che le persone che soffrono di dolore al ginocchio possono effettivamente soffrire di dolore anche alle articolazioni e che tale situazione non segue alcun tipo di modello.
    Il Dottor David T. Felson, professore di medicina e sanità pubblica presso la Boston University School of Medicine, ha ricordato che, nel corso della ricerca sopra citata, è stata monitorata la situazione di 3.500 persone ad alto rischio di osteoartrite e di età compresa tra i 50 e i 79 anni.
    Il Dottor Felson ha ricordato che nel corso della ricerca è stata esaminata la distribuzione del dolore articolare che si sviluppa in persone con dolore e osteoartrite al ginocchio. Molti hanno suggerito il fatto che i giunti adiacenti sono spesso colpiti per via di cambiamenti che intervengono nel corso dell’andatura a causa del dolore al ginocchio.
    Lo studio ha individuato il fatto che le persone con dolore al ginocchio hanno spesso dolore anche ad altre articolazioni, e che la distribuzione del suddetto dolore è casuale e non assolutamente prevedibile. I sintomi in questione suggeriscono che gli adattamenti biomeccanici per il dolore al ginocchio sono individualizzati, ma che il dolore articolare che si sviluppa può essere causa di cambiamenti effettivi nelle attività quotidiane.

  • Creata protesi per mano low cost per bambini con stampaggio 3D

    26/10/2016 - l'innovazione grazie a un team dell'Università del New Mexico

    Un’equipe di ricerca dell’Università del New Mexico sta lavorando sull’utilizzo della stampante 3D per creare a basso costo arti e dita artificiali per pazienti pediatrici.
    Questo lavoro di ricerca è molto importante in quanto, quando si parla di protesi per i pazienti giovani, è bene ricordare che, crescendo loro in fretta, diventa necessario cambiare l’impianto. Tenendo conto che una protesi base può costare fino a 10.000 dollari e che i bambini hanno bisogno di un nuovo dispositivo ogni 6/12 mesi, è presto fatto il conto sulle cifre che si spendono.
    Le protesi realizzate con stampanti 3D potrebbero però abbassare notevolmente questi costi senza sacrificare la qualità.
    Fino ad ora i ricercatori del Dipartimento di Ortopedia e Riabilitazione del New Mexico hanno realizzato 7 mani prototipo che stanno testando.
    Christina Salas, una delle dottorande che hanno lavorato ai prototipi, ha affermato che tutto ha avuto inizio indagando diverse configurazioni della mano e diversi orientamenti delle dita, con l’obiettivo di vedere le possibilità effettive di simulazione della mano umana.
    La fase subito successiva consisterà in prove meccaniche per determinare la forza e la flessibilità della mano realizzata con stampaggio 3D (la forza necessaria per aprire una bottiglia di plastica è diversa da quella che si deve impiegare per utilizzare un martello).
    Dal momento che le protesi realizzate con stampanti 3D vengono attivate meccanicamente, i pazienti devono flettere i muscoli degli arti per utilizzare le dita. La Salas ha stimato che, utilizzando una stampante 3D, i ricercatori siano in grado di creare una mano protesica con un costo compreso tra i 150 e i 200 dollari.

  • Immagini 3D delle ossa senza esporre i pazienti ai raggi X: i risultati di uno studio irlandese

    26/10/2016 -

    Un’equipe scientifica attiva presso il Trinity College di Dublino ha individuato una tecnica di scanning rivoluzionaria, che permette di avere immagini 3D delle ossa evitando che i pazienti rimangano esposti per troppo tempo alle radiazioni provenienti dai raggi X.
    I chimici del team hanno attaccato composti luminescenti a strutture in oro attratte da superfici ricche di calcio, che compaiono quando le ossa si danneggiano anche con micro lesioni.
    Questi agenti bersaglio consentono agli studiosi di ricavare un’immagine completa delle zone danneggiate. Questa tecnica potrebbe avere delle implicazioni molto interessanti per il settore sanitario, per il semplice fatto che è utile per diagnosticare la resistenza ossea e fornire un piano dettagliato della portata e del posizionamento delle singole lesioni.
    La conoscenza di questi dati potrebbe, in alcuni casi, aiutare a prevenire la necessità d’impianti ossei e agire come sistema di allarme per chi è a rischio di malattie ossee degenerative, come appunto l’osteoporosi.
    La ricerca in questione, che come poco fa ricordato è frutto del lavoro di un team del Trinity College, è stata pubblicata sulle pagine della rivista Chem.
    Secondo quanto affermato dalla dottoressa Esther Surrender, i nanoagenti utilizzati sono molto simili ai mezzi di contrasto che vengono impiegati per le risonanze magnetiche all’interno della clinica, e quindi rappresentano un vero e proprio nuovo mezzo di diagnosi, efficace grazie soprattutto alla sostituzione dell’europio con lo ione gadolinio, che consente una sintonia con l’attività della risonanza magnetica.

  • Dislocazione della spalla: studio sui vantaggi dell’intervento chirurgico immediato

    22/09/2016 - I risultati di una ricerca statunitense

    Una ricerca medica, presentata nel corso dell’ultima edizione del meeting annuale dell’American Orthopaedic Society for Sports Medicine’s, ha portato in evidenza per la prima volta come l’intervento chirurgico sia in grado, in caso di dislocazione della spalla, di ridurre drasticamente i rischi di un nuovo intervento e la necessità di un lungo follow up dopo l’operazione.
    Lo studio in questione ha esaminato 121 pazienti, tutti osservati mediamente 51 mesi dopo l’intervento chirurgico. Come riportato dal comunicato stampa pubblicato lo scorso 7 luglio, nel novero in questione si contavano 68 pazienti che sperimentavano per la prima volta il problema della dislocazione della spalla.
    Gli altri 53, invece, erano stati operati dopo una prima dislocazione e un successivo trattamento di natura non chirurgica. In seguito a una riparazione chirurgica artroscopica, nel gruppo che era già stato trattato chirurgicamente il post operatorio ha avuto un tasso di complicazioni pari al 29%, contro il 62% riscontrato invece nel gruppo che, dopo la prima dislocazione, non aveva ricevuto il trattamento chirurgico.
    I dati della suddetta ricerca sono stati raccolti tra il 2003 e il 2013, tenendo conto di pazienti di età compresa tra i 16 e i 30 anni. Le indagini somministrate ai pazienti nel corso del follow up si sono incentrate su richieste relative alla funzionalità della spalla, al ritorno all’attività sportiva, agli eventi che hanno provocato instabilità alla spalla.
    Lo studio in questione porta in evidenza come, nonostante la diffidenza diffusa (che riguarda spesso i genitori dei giovani atleti), l’intervento chirurgico rappresenti un approccio valido nell’immediato dopo una dislocazione della spalla.

  • La prima cartilagine sintetica approvata dalla FDA

    19/08/2016 - l'approvazione è arrivata lo scorso 5 luglio

    Lo scorso 5 luglio la FDA (Food and Drug Administration) ha concesso all’azienda Premarket Approval l’autorizzazione per la produzione della cartilagine sintetica Cartiva. Di cosa si tratta? Cartiva SCI, secondo la società produttrice, è destinata al trattamento dell’artrite alla base dell’alluce, la più comune forma di artrite del piede.
    L’attuale standard di cura prevede di unire le ossa con le articolazioni artritiche attraverso viti e placche. Secondo quanto ricordato dalle fonti ufficiali dell’azienda, questa procedura costituisce una procedura efficace per eliminare il dolore, ma impedisce in maniera permanente il movimento dell’articolazione.
    Il dispositivo Cartiva è quindi un’alternativa alla suddetta fusione ed è ovviamente biocompatibile, in quanto polimero biomedico progettato per avere proprietà fisiche il più simili possibili a quella della cartilagine danneggiata.
    Dal punto di vista pratico si parla di una sostituzione della cartilagine danneggiata con l’impianto Cartiva SCI, caratterizzato anche da una superficie di appoggio durevole. L’impianto, oltre a questo, fornisce sollievo dal dolore e migliora sia la funzionalità sia il movimento.
    Secondo quanto ricordato dalla società, la decisione della FDA è dovuta ai risultati di uno studio randomizzato prospettico effettuato monitorando la situazione di 236 pazienti. Cosa dicono i risultati? Che per l’80% dei pazienti l’impianto di Cartiva ha comportato successo per quanto riguarda il dolore, la funzionalità e la sicurezza.
    L’utilizzo del dispositivo è stato approvato fuori dal territorio USA nel 2002 ed è attualmente disponibile in Europa, Canada e Brasile. Fino ad oggi sono stati effettuati più di 400 impianti attraverso una procedura ambulatoriale che dura circa 35 minuti.

  • Nuovo film bioattivo per rivestire gli impianti

    19/08/2016 - la scoperta di un team di ricercatori dell'Università del North Carolina

    I ricercatori dell’Università del North Carolina, grazie a un lavoro congiunto con un’equipe dell’Università di Cambridge e una dell’Università di Sant’Antonio in Texas, sono arrivati a sviluppare un film bioattivo che consente di rivestire gli impianti ortopedici.
    Secondo quanto si legge nel comunicato ufficiale divulgato lo scorso 15 giugno, il film in questione aumenta in maniera considerevole la connessione tra l’impianto ortopedico e l’osso, migliorando l’efficienza e la resistenza soprattutto degli impianti utilizzati in chirurgia spinale.
    Secondo quanto affermato dal dottor Afsaneh Rabiei, uno degli autori della ricerca, grazie a questo impianto è possibile ricoprire l’intera superficie dell’impianto, con risultati dei test HA-coated molto promettenti.
    In questo caso si parla di preciso di un impianto di ossido di zirconio stabilizzato con ittrio e rivestito con idrossiapatite. Come indicato sul comunicato stampa ufficiale, i ricercatori hanno riscaldato lo strato di idrossiapatite utilizzando delle microonde.
    Il calore ha dato al minerale una struttura cristallina che rende più stabile il tutto, permettendo al fosfato di calcio di sciogliersi più lentamente e di ottimizzare il legame con l’osso circostante. Guardando la crescita ossea, i ricercatori che hanno sviluppato il film hanno affermato che il trattamento potrebbe comportare un aumento del costo degli impianti, ma diminuire la necessità di interventi chirurgici nel corso del follow up.
    Le complicazioni che coinvolgono gli impianti ortopedici possono variare da infezioni per pseudoartrosi ad altre conseguenze. Queste complicazioni possono causare il fallimento di un impianto e la necessità di un intervento chirurgico di revisione che, come già ricordato, verrebbe ridotto al minimo grazie a una tecnologia che ha il vantaggio di mantenere un’ottima forza di adesione tra il substrato e il rivestimento.

  • Le vibrazioni trasformano le cellule staminali in ossa

    01/08/2016 - i risultati di uno studio scozzese

    Un’equipe scientifica scozzese ha scoperto la possibilità di far crescere nuovo tessuto osseo ricorrendo a

    delle semplici vibrazioni.

    Come riportato in un articolo pubblicato su The Telegraph e firmato dalla giornalista scientifica Sarah Knapton, questo studio si è focalizzato sulla possibilità di convertire le cellule staminali in cellule ossee facendo semplicemente riferimento alle vibrazioni a bassa frequenza in laboratorio.

    La tecnica in questione è nota con il nome di nanokicking e, come sopra specificato, fa ricorso a delle vibrazioni molto lievi. I ricercatori della University of West Scotland e della University of Glascow hanno utilizzato una frequenza pari a 100 Hz che, secondo i risultati dei loro studi, è in grado di mimare in maniera molto efficace quello che succede all’osso nel corpo.

    In laboratorio la suddetta frequenza è in grado di stimolare la crescita dell’osso in circa 28 giorni. Nell’articolo del The Telegraph si ricorda come il nostro corpo sia sottoposto a continui stimoli meccanici, che arrivano per esempio dai passi compiuti dai piedi e dal battito cardiaco.

    Si sa anche che interessanti proprietà meccaniche coinvolgono proprio l’osso. Un esempio utile al proposito è la piezoelettricità, che consiste nella conversione dello stress meccanico in energia elettrica, effetto ottenibile con una frequenza attorno ai 1000 Hertz. I ricercatori sperano che la suddetta frequenza possa essere utilizzata nella riparazione del tessuto osseo danneggiato mentre è ancora all’interno del corpo.

    Come specificato dalla Knapton all’interno dell’articolo, l’osso è il secondo tessuto più trapiantato del mondo e i medici del Regno Unito sono consapevoli di quanto la domanda in merito sia destinata ad aumentare per via dell’invecchiamento della popolazione.

  • Mappati i segnali delle cellule staminali ossee e della cartilagine

    01/08/2016 - uno studio realizzato da un'equipe della Stanford University

    Uno studio condotto da un’equipe dell’Università di Stanford, a partire da alcune cellule staminali embrionali, è riuscito a mappare i segnali che le cellule lanciano e che sono finalizzati alla creazione di ossa, muscoli cardiaci e cellule della cartilagine.

    Questa ricerca, che si è focalizzata sull’efficacia a breve termine dei suddetti segnali, rappresenta un passo avanti molto importante per la medicina rigenerativa. Come spiegato dal Dottor Irving Weissman, direttore dello Stanford's Institute for Stem Cell Biology and

    Regenerative Medicine, lo studio in questione si è basato sulla conoscenza della biologia animale con l’obiettivo di fornire indicazioni sui fattori di segnalazione negativi e su quelli positivi funzionali quindi allo sviluppo delle cellule dei tessuti e degli organi.

    Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell e si è basato sulla mappatura dei segnali che arrivano dalle staminali che diventano cellule ossee, muscoli cardiaci e cartilagine (in tutto sono stati presi in considerazione 12 tipi di cellule).

    Sempre secondo quanto affermato da uno degli autori, lo studente laureato Kyle Loh, la capacità digenerare popolazioni di cellule pure delle suddette tipologie è un traguardo molto importante per la medicina rigenerativa. Prima di studi di questa natura la generazione delle suddette tipologie cellulari richiedeva settimane, in quanto alla base vi era la difficoltà nel controllo del destino della singola cellula
    staminale.

    Gli autori di questo studio, secondo i vari report, sono stati in grado di generare i precursori delle cellule ossee umane, compiendo, come già specificato, un passo rilevante per il futuro della medicina rigenerativa.

  • Scoperto gene che può aiutare il trattamento delle fratture

    20/06/2016 - Una ricerca della University of California

    È stato scoperto un gene che può aiutare il trattamento delle fratture? Secondo quanto riportato in uno studio effettuato da un’equipe di scienziati attiva presso la University of California la risposta è affermativa.

    Per riempire i deficit di conoscenze relativi al funzionamento delle cellule staminali in sede di riparazione delle fratture, gli scienziati della University of California si sono messi al lavoro e sono arrivati a comprendere che il gene Sostdc1 è in grado di tenere sotto controllo l’attività delle cellule staminali in sede di riparazione delle fratture.

    Secondo il testo del comunicato stampa ufficiale, diffuso lo scorso 1 giugno, il gene in questione ricopre un ruolo fondamentale durante il processo di auto rinnovamento e differenziazione delle cellule staminali. Lo studio in questione ha dimostrato che i topi privi di questo gene avevano una densità minerale ossea inferiore per quanto riguarda l’osso trasecolare, mentre presentavano ossa corticali decisamente più
    spesse.

    La squadra che ha lavorato a questa ricerca ha inoltre dimostrato che la soppressione del gene Sotsdc1 induce la popolazione di cellule staminali a crescere più rapidamente, espandendosi nel sito della frattura e contribuendo così al processo di guarigione.

    Secondo la dottoressa Gaby Loots, una delle autrici dello studio, la ricerca fa in modo di evidenziare l’attività del gene in un nuovo contesto, cercando di capire il suo ruolo nel metabolismo e nella riparazione dello scheletro.

    Studi futuri consentiranno di prevedere, sempre concentrandosi sul rapporto con la genetica, il comportamento delle cellule staminali in altre parti del corpo. Resta ancora da capire se le varianti del gene Sostdc1 negli esseri umani possono comportare un aumento della massa ossea corticale.

  • L’artroscopia migliora la funzionalità dell’anca nei pazienti affetti da sindrome da conflitto femoro-acetabolare

    20/06/2016 - i risultati di una ricerca condotta presso l'Ohio State University

    Sebbene le donne con sindrome da conflitto femoro-acetabolare accusino spesso una minor funzionalità pre operatoria, nel caso dell’anca è possibile registrare un importante miglioramento da questo punto di vista, in particolare dopo l’operazione chirurgica in artroscopia.

    Questo è il risultato principale di uno studio condotto da un’equipe scientifica attiva presso l’Ohio State University. Questa ricerca ha monitorato la situazione di 229 pazienti con sindrome da conflitto femoro-acetabolare bilaterale – in questa situazione l’anca è caratterizzata da un’articolarità limitata in flessione e in rotazione interna - e tutti sottoposti a chirurgia artroscopica dell’anca.

    La dottoressa Stephanie Di Stasi e la sua equipe hanno valutato gli esiti sulla base dell’Hip Outcome Tool. La situazione di conflitto femoro-acetabolare è stata confermata prima dell’intervento e 3 mesi, 6 mesi, 12 mesi e 24 mesi dopo l’intervento.

    I risultati hanno mostrato interazioni non significative tra genere sessuale e punteggio pre e post operatorio sulla base dei dati dell’Hip Outcome Tool. Miglioramenti significativi sono stati invece riscontrati confrontando i livelli di funzionalità pre operatoria e i risultati dei singoli follow up. Gli autori dello studio

    hanno concluso che, a prescindere dalla situazione iniziale, i pazienti iniziano a sentirsi meglio circa 6 mesi

    dopo l’intervento.

    Come affermato sempre dalla dottoressa Stephanie Di Stasi, i medici tendono spesso a ricordare ai pazienti

    affetti da sindrome da conflitto femoro-acetabolare che l’artroscopia all’anca può migliorare la situazione

    dal punto di vista del dolore e della funzionalità, ma che non può far tornare al 100%.

    Sempre secondo le dichiarazioni della Di Stasi, l’equipe sta lavorando per capire i motivi per cui le donne

    accusano, 24 mesi dopo l’intervento, un margine di miglioramento inferiore rispetto agli uomini.

  • Primo trapianto di astragalo con la stampa 3D

    25/05/2016 - l'intervento è stato effettuato a Baltimora

    Presso il Mercy Medical Center di Baltimora è stato eseguito il primo trapianto di astragalo caratterizzato dal ricorso alla stampa 3D per la sostituzione. Il Dottor Mark Myerson, direttore dell’Institute for Foot and Ankle Reconstruction della già citata istituzione ospedaliera statunitense, ha effettuato l’operazione e ha affermato che coloro che sono sottoposti a sostituzione dell’astragalo con questo approccio possono
    ritrovare il 75% della funzionalità originaria della caviglia.

    Quando si interviene chirurgicamente sull’astragalo si è spesso davanti a casi in cui la sua frattura compromette la circolazione ematica, provocando una necrosi avascolare. Quando non si ricorre alla stampa 3D, il trattamento in questi casi prevede la fusione della gamba con il tallone, con risultati molto difficili da gestire per quanto riguarda la motilità della caviglia, che rimane sostanzialmente molto rigida.

    Secondo quanto affermato dal Dottor Myerson stesso, il riscorso alla stampa 3D permette di far fronte in maniera molto efficace a questi problemi. Tutto parte dalla TAC, con l’immagine che diventa il punto di partenza per lo stampaggio del nuovo astragalo.

    Nel processo di prova vengono utilizzati diversi impianti in plastica, con l’obiettivo di stabilire le giuste dimensioni finali. Myerson ha precisato che non si tratta di una sostituzione della caviglia, operazione che risulta appropriata in caso di artrite della caviglia e non quando ci si trova davanti a un caso di necrosi avascolare dell’astragalo.

    Myerson, parlando ancora dell’operazione frutto di 32 anni di studi sulla chirurgia ortopedica, ha affermato che rappresenta un superamento della fusione che, come già affermato, compromette la motilità della caviglia e la qualità della vita del paziente.

  • Soluzione in biovetro che potrebbe favorire la riparazione cartilaginea

    25/05/2016 - studio di un'equipe medica dell'Imperial College di Londra

    Uno studio che ha visto impegnata un’equipe medica dell’Imperial College di Londra ha portato alla scoperta di una soluzione in biovetro che potrebbe favorire la riparazione cartilaginea. La riparazione di questo tessuto connettivo è uno dei problemi più importanti per chi si occupa di ortopedia e ogni giorno ha a che fare con gli effetti di infortuni e avanzare dell’età.

    Un’equipe scientifica dell’Imperial College di Londra, come poco fa ricordato, ha messo a punto una soluzione in biovetro in grado di replicare in maniera molto fedele la carica ammortizzante dei cuscinetti di cartilagine.

    Il risultato permette di fruttare le numerose proprietà del materiale, che potrebbe essere impiegato anche per sostituire e riparare i dischi cartilaginei danneggiati tra una vertebra e l’altra. Il biovetro è costituito dall’unione tra silice e policrapolattone, un polimero semicristallino sintetico e biodegradabile.
    Questo materiale è in grado di replicare molte proprietà della cartilagine, come per esempio la flessibilità, la forza e la resistenza. Può essere realizzato anche grazie alla stampa 3D, permettendo di usufruire di strutture che stimolano la crescita delle cellule cartilaginee del ginocchio, come è stato dimostrato in seguito a diversi esperimenti in provetta.

    Il team che ha lavorato a questo progetto, che parla del materiale in questione come di una soluzione utile per riparare la cartilagine intravertebrale e quella del ginocchio, sta mirando alla produzione, grazie alla stampa 3D, di piccole impalcature biodegradabili in grado di replicare la struttura della cartilagine del ginocchio e caratterizzate da un ottimo livello di autoriparazione.

  • Modello di ricerca per migliorare la riparazione del crociato anteriore

    21/04/2016 - il risultato di uno studio della University of Missouri School

    La lesione del crociato anteriore è uno dei problemi ortopedici più comuni. Solo negli USA sono più di 200.000 le persone che ogni anno sperimentano questa situazione e più della metà viene sottoposta a riparazioni chirurgiche.

    Una recente ricerca portata avanti da un team della University of Missouri School of Medicine ha portato allo sviluppo di un modello che mostra l’efficacia dei vari approcci chirurgici alla riparazione del crociato anteriore.

    Come ricordato dal dottor James Cook, uno degli autori dello studio, il ginocchio è un’articolazione molto complessa che è sostenuta da quattro legamenti principali, tra i quali il crociato anteriore è quello più incline a subire lesioni.

    Partendo da questo aspetto fondamentale è stato sviluppato un modello di ricerca che ha permesso di confrontare il livello di guarigione raggiunto dai diversi approcchi chirurgici alla lesione al crociato anteriore, così da determinare l’alternativa migliore per l’innesto.

    Nei processi di riparazione tradizionali, i chirurghi fissano l’innesto all’osso tramite viti, permettendo così al nuovo legamento di funzionare il meglio possibile. Come sottolineato ancora da Cook, questo approccio permette di raggiungere un buon livello di stabilità, anche se l’innesto si può considerare un punto di saldatura piuttosto che una vera e propria riparazione integrata.

    Fondamentale è tenere conto anche del fatto che le viti possono danneggiare il tessuto cellulare. Utilizzando il modello di ricerca gà citato, il team della University of Missouri ha confrontato il metodo tradizionale con un approccio più recente, che prevede l’utilizzo
    di sistemi a sospensione, che migliora l’integrazione dell’innesto.

    Utilizzando il modello sopra citato è stato possibile inquadrare l’approccio sospensivo come più efficace, sia dal punto di vista dell’integrazione dell’innesto sia per quanto riguarda i risultati funzionali sul lungo termine.

  • Università di Lovanio: una tecnica per migliorare la sopravvivenza delle cellule ossee impiantate

    21/04/2016 - Lo studio è stato pubblicato sulle pagine di Cell Metabolism

    Uno studio pubblicato recentemente sulle pagine della rivista Cell Metabolism ha portatoin evidenza come un gruppo di ricercatori dell’Università di Lovanio (Belgio), abbia riprogrammato con successo alcune cellule ossee vive, rendendole adatte al trattamento di
    grandi fratture ossee non guaribili.

    Il risultato è stato raggiunto rafforzando la capacità che le cellule hanno di rigenerarsi anche in un ambiente pericoloso. Secondo quanto rilevato dal suddetto team di ricerca dell’Università di Lovanio, il corpo umano è in grado di riparare autonomamente le
    fratture ossee nella maggior parte dei casi.

    Tuttavia non è sempre così, soprattutto nei casi di grandi fratture ossee. Per supportare la rigenerazione ossea, i ricercatori di tutto il mondo hanno messo a punto impianti che prevedono il fatto di seminare le cellule su strutture di supporto realizzate con materiale
    biologico.

    Solo il 30% delle cellule impiantate riesce però a sopravvivere dopo i primi giorni. Per quale motivo? Prima di tutto perché i vasi ematici, che forniscono loro ossigeno e altre sostanze nutritive, risultano danneggiati.

    La crescita di nuovi vasi ematici nell’impianto richiede tempo e, fino ad allora, le cellule sono a corto di quei ‘carburanti’ che permettono loro di sopravvivere. Come sottolineato da uno degli autori dello studio sopra ricordato, le cellule ossee in questa situazione
    producono radicali dell’ossigeno dannosi.
    Per evitare tale conseguenza mettono in atto un meccanismo di doppia difesa, aumentando lo stoccaggio di glicogeno e aumentando la produzione di sostanze antiossidanti per neutralizzare i radicali dell’ossigeno.

    Questi due approcci permettono alle cellule ossee di essere autosufficienti in termine di generazione di energia e di protezione dai radicali dell’ossigeno. Tutto ciò è fondamentale per la rigenerazione ossea che, come sottolineato da questo studio, può essere stimolato
    anche riprogrammando le cellule ossee, per esempio tramite la disattivazione di un sensore dell’ossigeno conosciuto con il nome di PHD2 (è possibile riuscirci sia con l’ingegneria genetica sia somministrando molecole terapeutiche), e migliorando il loro tasso di sopravvivenza con una percentuale compresa tra il 30 e il 60%

  • Nuovo farmaco che potrebbe favorire la crescita ossea

    24/03/2016 - i risultati di uno studio inglese

    Un team di ricerca dell’Università di Southampton - Regno Unito - sta utilizzando unaproteina che potrebbe diventare la base per un nuovo tipo di farmaco in grado di aiutare il tessuto osseo a guarire in maniera migliore e in ogni caso più veloce.

    I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Stem Cells e diffusi ulteriormente attraverso un comunicato stampa pubblicato lo scorso 19 novembre.I ricercatori hanno portato in evidenza come la proteina in questione sia in grado di attivare le vie di segnalazione Wnt, grazie alle quali le cellule staminali presenti all’interno di un determinato tessuto osseo sono indotte a dividersi e a trasformarsi in
    cellule ossee vere e proprie (le vie di segnalazione Wnt sono coinvolte nei processi di
    ricrescita dei tessuti di alcuni anfibi, come per esempio la salamandra).

    Secondo quanto affermato da Nick Evans, professore associato di bioingegneria presso l’Università di Southampton e autore principale dello studio, ha ricordato quanto le fratture ossee rappresentino un problema sociale non indifferente, soprattutto per quanto riguarda la situazione delle persone in età avanzata.

    La ricerca appena ricordata si è concentrata sulle modalità più valide per stimolare chimicamente le vie di segnalazione Wnt attraverso l’utilizzo di farmaci. Interessante è stato notare come, in caso di via di segnalazione troppo lunga, l’effetto rigenerativo
    andasse perso.

    A tal proposito i ricercatori dell’Università di Southampton, si sono concentrati sulla ricerca di una soluzione mirata anche dal punto di vista temporale. Attualmente sono in fase di sviluppo diversi farmaci basati sulla stimolazione delle vie di segnalazione Wnt e destinati alla cura dell’osteoporosi. I dati riguardanti la guarigione delle fratture osee sono meno chiari e questa ricerca ha contribuito a migliorare la visione in merito.

  • Individuate le cellule staminali in grado di innescare la riparazione cartilaginea

    24/03/2016 -

    Un’equipe medica attiva presso l’Università di York, in un paper pubblicato su Stem Cell Reports, ha ufficializzato la conclusione di uno studio che ha permesso d’identificare le cellule staminali in grado di rigenerare specificatamente il tessuto cartilagineo e il tessuto
    osseo.

    Dal momento che le cellule staminali tendono a mescolarsi con le formazioni cellulari stromali del midollo, per l’equipe dell’università di York non è stato facile distinguerle. Dopo averle isolate, gli scienziati che hanno portato avanti lo studio ne hanno esaminato
    le differenti proprietà, riuscendo a distinguere le cellule staminali in grado di riparare le lesioni cartilaginee da quelle utili in caso di altre tipologie d’infortuni (si tratta di un ottimo punto di arrivo per il trattamento dell’artrite).

    Il dottor Paul Genver, uno dei principali autori dello studio in questione, ha ricordato che se la terapia con le cellule staminali è ormai una frontiera impossibile da ignorare in ortopedia, può spesso risultare difficile capire quali tipologie di cellule considerare nei
    singoli casi (rigenerazione della cartilagine o del tessuto osseo).

    Il progetto dell’Università di York si propone proprio di sciogliere i dubbi in merito, aiutando i medici a capire quali formazioni cellulare includere nel processo di trattamento. Secondo quanto ricordato da Stephen Simpson, direttore della divisione ricerche dell’organizzazione Arthritis Reasearch UK, sono più di 8 milioni le persone che nel Regno Unito vivono con il dolore e con problemi di disabilità causati dall’osteoartrite.

    Sempre Simpson ha ricordato l’importanza della ricerca in questione, che potrebbe portare allo sviluppo di una soluzione iniettabile e sicura.

  • Cellule articolari delle mucche utilizzate per la coltivazione di tessuto cartilagineo

    09/03/2016 - I risultati di uno studio svedese

    Nel tentativo di migliorare le metodologie di lavoro nel campo dell’ingegneria tissutale della cartilagine, i ricercatori dell’Università di Umeå (Svezia) hanno utilizzato con successo delle cellule provenienti dall’articolazione del ginocchio di alcune mucche.

    A partire da questo materiale di laboratorio è stato possibile mettere a punto un metodo di successo per la coltivazione di tessuto cartilagineo. Questo risultato potrebbe aiutare molto il percorso di evoluzione dei trattamenti per l’artrosi.

    La cartilagine articolare è un tessuto che è presente su tutte le superfici articolari del corpo. Non essendo irrorato da vasi ematici, è caratterizzato da una scarsa capacità di auto riparazione. Le lesioni articolari, che lo possono danneggiare in profondità, sono
    infatti il punto di partenza dell’osteoartrite.

    Un membro dell’equipe scientifica che ha condotto questo studio ha ricordato come la chirurgia sostitutiva costituisca per ora la soluzione definitiva al problema dell’osteoartrite, che nella sola Svezia e nell’arco del 2012 è stata diagnosticata a circa il
    2,6% della popolazione over 45.

    A tal proposito lo studio condotto presso l’Università di Umeå si è orientato verso una soluzione di diverso tipo, partendo dall’utilizzo di condrociti primari provenienti da alcune mucche. Partendo da queste cellule i ricercatori sono stati in grado di riprodurre in ambiente di laboratorio un tessuto cartilagineo molto simile a quello normalmente presente nelle articolazioni umane.

    Si tratta di un esito che, in futuro, potrebbe aiutare molto lo sviluppo di neo cartilagine. Per questo sono ovviamente necessarie ricerche sulla qualità del tessuto.

  • Ginocchio in oro impiantato su un paziente in India

    09/03/2016 - l'operazione è stata eseguita nel mese di novembre del 2015

    Risale al mese di novembre 2015 la notizia di un’operazione chirurgica molto rara effettuata in India, per la precisione in un ospedale della città di Jaipur. Di cosa si tratta?

    Della sostituzione del ginocchio sinisto di un paziente di 65 anni affetto da una forma acuta di osteoartite del ginocchio.

    Gli impianti utilizzati in caso di sostituzione chirurgica del ginocchio sono realizzati in cobalto, cromo e nichel. Questi materiali - soprattutto il nichel - possono causare l’insorgere di manifestazioni allergiche.
    I medici dell’ospedale privato di Jaipur hanno sostituito il ginocchio del paziente 65enne con un impianto costituito da sette strati di zirconio, un metallo molto simile all’oro e che lo ricorda anche dal punto di vista della colorazione.

    L’intervento è stato eseguito la prima settimana dele mese di novembre 2015, e il paziente è riuscito in poco tempo a riprendere i suoi normali movimenti. Il medesimo paziente era stato sottoposto ad altri interventi, ma a causa del diabete il suo corpo aveva rigettato i
    vari impianti.

    Secondo quanto affermato dal Dottor Jhurani, uno dei medici che ha eseguito l’intervento, la scelta dell’impianto in fogli di zirconio ha permesso di risolvere il problema in questione.Jhurani ha anche aggiunto che questo impianto è caratterizzato da una consistente riduzione (-70%) delle probabilità di ossidazione. Fondamentale è però utilizzare con attenzione un materiale come lo zirconio, dal momento che riduce l’attività del sistema immunitario dei pazienti.

  • I pazienti con obesità patologica possono trarre giovamento dalla chirurgia bariatrica prima dell’intervento di sosti

    24/02/2016 - i risultati di uno studio eseguito in un ospedale di New York

    Gli studi di questi anni hanno individuato un’associazione tra le condizioni di obesità patologica ed esiti negativi - accompagnati da costi alti - dell’intervento di sostituzione chirurgica del ginocchio.

    Una nuova valutazione, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Journal of Bone and Joint Surgery, supporta l’esecuzione di interventi di chirurgia bariatrica su pazienti con osteoartrite in stadio avanzato, il tutto prima dell’operazione di sostituzione chirurgica del ginocchio.

    Circa il 30% della popolazione statunitense soffre di obesità, che rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di osteoartrite. Se la sostituzione chirurgica del ginocchio è un trattamento chirurgico molto comune per l’osteoartrite in stato avanzato, se l’intervento
    viene eseguito su pazienti obesi - che necessitano molto spesso di revisione chirurgica - sono molto di più le complicanze, che vanno dalla guarigione ritardata delle ferite fino all’insorgere di infezioni.

    Nel processo di valutazione, l’equipe di ricercatori dell’Hospital of Special Surgery di New York City, hanno utilizzato un modello computerizzato per analizzare dati degli ultimi anni relativi a obesità, chirurgia bariatrica e chirurgia sostitutiva del ginocchio. La valutazione ha riguardato la comparazione dei risultati dei due trattamenti sui pazienti con problemi di obesità e osteoartrite in stato avanzato.

    In un caso è stata presa in considerazione l’esecuzione dell’intervento di sostituzione chirurgica del ginocchio senza perdita di peso iniziale, nel secondo la scelta di effettuare tale intervento due anni dopo la chirurgia bariatrica.

    Il modello ha portato in evidenza come l’ultima di queste evenienze - ossia la scelta di ricorrere alla chirurgia bariatrica due anni prima rispetto all’intervento di sostituzione del ginocchio, sia in grado di garantire un miglioramento sostanziale della qualità della vita,
    molto più alto rispetto all’opzione della chirurgia sostitutiva del ginocchio non preceduta
    da perdita di peso.

  • Combinazione proteica che migliora la rigenerazione ossea

    24/02/2016 - i risultati di uno studio effettuato presso la UCLA

    Un gruppo di ricercatori attivo presso la UCLA ha individuato una combinazione di proteine che potrebbe migliorare il processo di rigenerazione ossea e rappresentare una soluzione decisiva nei trattamenti terapeutici per difetti ossei e in quelli per la cura
    dell’osteoporosi.

    Lo studio in questione, condotto da un’equipe scientifica guidata dal dottor Kang Ting, ha utilizzato una proteina nota con il nome di NELL-1 (dal gene omonimo)e contenente fattori di crescita.

    Lo studio del dottor Ting, integrando notevolmente lavori clinici incentrati sul medesimo obiettivo, si è basato su un’associazione tra la proteina NELL-1 - la cui esistenza è stata scoperta da Ting stesso nel 1996 - e BPM2 (proteine morfogenetiche dell’osso).

    I risultati hanno portato in evidenza come la succitata combinazione sia in grado di stimolare la formazione di cellule ossee, inibendo quella di cellule adipose. In questo modo è stato possibile superare un effetto collaterale riscontrato negli studi che si
    basavano solo sull’utilizzo di BPM2 e che vedevano una formazione contemporanea di cellule ossee e di cellule adipose.

    Lo studio condotto dal dottor Ting e dalla sua equipe ha dimostrato come NELL-1 agisca attivando le vie di segnalazione, dalle quali dipende il fatto che una cellula diventi ossea o adiposa.

    Attualmente è in fase di sviluppo una terapia specifica che si basa sull’utilizzo di NELL-1 per il trattamento sistemico dell’osteoporosi. Secondo quanto affermato da No-Hee Park, decano della UCLA School of Dentistry, questa ricerca rappresenterebbe un punto di svolta per la vita di tantissimi pazienti che soffrono di osteoporosi e altri difetti ossei.

  • Artroplastica totale del ginocchio: dolore subacuto persistente e insoddisfazione a metà del follow up

    22/01/2016 - i risultati di uno studio su 275 pazienti

    I pazienti sottoposti ad artroplastica totale del ginocchio e con esperienza di dolore subacuto persistente nei 60-120 giorni successivi all’operazione hanno più probabilità di essere insoddisfatti delle procedure operatorie a metà del follow up rispetto ai pazienti
    che fanno esperienza con il dolore precoce.

    Questo il principale risultato di uno studio condotto da un’equipe medica attiva presso la Lexington Clinic (omonima città del Kentucky) e pubblicato sulle pagine della rivista scientifica The Journal of Arthroplasty alla fine dello scorso mese di maggio.

    I ricercatori hanno identificato 275 pazienti sottoposti ad artroplastica totale del ginocchio e hanno somministrato loro un questionario sulla soddisfazione tra i 60 e i 120 giorni dopo l’intervento e, successivamente, dopo un lasso di tempo di 5 anni dall’intervento.
    L’analisi dei risultati - che per i 60-120 giorni successivi all’intervento hanno portato alla luce una situazione di dolore tra il moderato e il severo per il 7,9% dei pazienti annoverati nel campione - hanno portato alla luce una probabilità d’insoddisfazione 4,5 volte
    maggiore nei soggetti che avevano sperimentato un dolore subacuto persistente nei 60-120 giorni successivi all’operazione piuttosto che in quelli che avevano vissuto la medesima situazione subito dopo l’intervento.

    I risultati dei questionari hanno tenuto conto dei livelli di dolore a riposo. Le misurazioni sono state effettuate tutte su pazienti che avevano completato il Knee Society Score, un percorso di valutazione basato sia sull’esame clinico del ginocchio, sia sul suo livello di funzionalità.

  • Il cloruro di litio ferma la degradazione cartilaginea

    22/01/2016 - lo studio smentisce anche i danni del litio nella dieta quotidana

    Il cloruro di litio, un farmaco usato per stabilizzare l’umore, può rivelarsi una soluzione utile per il trattamento dell’osteoartrite. Questo è il principale risultato di una ricerca condotta da due team, uno attivo presso la Queen Mary University di Londra e uno che
    opera presso l’Università di Otago in Nuova Zelanda.

    Secondo il comunicato stampa ufficiale, la cui diffusione è avvenuta all’inizio del mese di luglio, lo studio si è basato sull’utilizzo di campioni di cartilagine bovina, esposti a sostanze infiammatorie per simulare gli effetti dell’osteoartrite.

    I tessuti in questione sono stati infine trattati con cloruro di litio. I ricercatori hanno così avuto modo di appurare che il farmaco appena citato è in grado di arrestare il processo di degradazione della cartilagine.

    Il Professor Martin Knight, uno dei coautori della ricerca, ha affermato che il processo si trova ancora in una fase di sperimentazione, ma che la disponibilità del cloruro di litio sul mercato potrebbe accelerare i tempi e permettere di raggiungere in poco tempo un risultato per quanto riguarda la sua applicazione nel trattamento dell’osteoartite.

    Sempre da Martin Knight è stato sottolineato un altro aspetto importante di questa ricerca, che mostra come il litio nella dieta quotidiana non sia dannoso per la cartilagine (diversi studi avevano sottolineato il suo ruolo nell’interruzione della sintesi dei proteoglicani, una classe di molecole costituite da un asse proteico principale).

    I prossimi obiettivi del gruppo di ricerca coordinato da Martin Knight riguarderanno l’analisi dei fattori che determinano l’influenza del litio sulle ciglia cellulari primarie nel tessuto cartilagineo.

  • Degenerazione cartilaginea del ginocchio in pazienti obesi: perdere il 10% del peso corporeo rallenta il processo

    17/12/2015 - I risultati di uno studio californiano

    Uno studio retrospettivo condottto da un’equipe medica attiva presso la University of California (San Francisco), ha mostrato come, in caso di pazienti obesi, la perdita del 10% del peso corporeo sia in grado di determinare un rallentamento del processo di degenerazione cartilaginea.

    Lo studio, i cui dettagli sono stati riportati sulle pagine della rivista scientifica MedPage Today, ha visto il coinvolgimento di 506 pazienti (età media di 62 e BMI pari a 30,2). I soggetti coinvolti nel campione sono stati monitorati per un periodo di 4 anni, durante il quale hanno perso dal 5 al 10% del proprio peso corporeo. I pazienti che non hanno avuto perdite di peso sostanziali sono stati annoverati nel gruppo di controllo.

    I ricercatori che hanno condotto lo studio hanno individuato una minor degenerazione della cartilagine del ginocchio nei soggetti che avevano perso una maggior quantità di peso corporeo.

    I pazienti nei quali non è stata riscontrata un’importante perdita di peso hanno invece avuto un aumento di 0,9 punti delle misure T2 in quattro anni. Per chiamare in causa numeri precisi, nei soggetti che avevano perso il 10% del peso corporeo è stato possibile individuare una riduzione del 55,6% del danno cartilagineo.

    La degenerazione delle articolazioni del ginocchio è una delle principali cause di dolore cronico a livello mondiale e l’obesità costituisce un fattore di rischio. La novità di questo studio consiste nel sottolineare che la quantità di peso persa può fare una grande differenza in merito.

  • Studio sulla rigenerazione cartilaginea nei fondisti

    17/12/2015 - i risultati di uno studio tedesco

    Utilizzando un’apparecchiatura per risonanze magnetiche caricata su un camion, un team di medici dell’ospedale universitario di Ulm (Germania), ha seguito attraverso l’Europa alcuni fondisti, che hanno percorso una distanza complessiva di circa 4.500 km.

    Lo studio, che ha fornito informazioni dettagliate sulla reazione di diverse parti del corpo in risposta allo stress della corsa, è andato avanti per 64 giorni ed è stato presentato alla fine del mese di novembre nel corso del meeting annuale della Radiological Society of
    North America.

    Il monitoraggio si è svolto nel corso dell’edizione 2009 (19 aprile - 21 giugno) della Trance Europe Foot Race, una competizione di 4.487 km senza alcun giorno di riposo per i partecipanti.

    I fondisti sono stati monitorati tramite imaging a risonanza magnetica, con l’obiettivo di analizzare il rischio di sviluppo di artrosi in soggetti sottoposti a un intenso sforzo fisico prolungato. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a monitoraggio ogni 3/4 giorni, con
    15/17 risonanze magnetiche su ogni corridore nel corso dell’intera durata della gara. Cosa hanno portato alla luce i risultati? Che tutti i segmenti del ginocchio, con eccezione della cartilagine rotulea, hanno mostrato una degradazione significativa nei primi 1.500/2.000 km di gara.

    Gli esiti hanno mostrato anche come la cartilagine del piede e del ginocchio sia in grado di rigenerarsi durante la corsa di resistenza. Le indagini diagnostiche messe a punto con la risonanza magnetica hanno dato modo di notare un aumento significativo del diametro del tendine d’Achille. In tutti e 44 i corridori non è stato possibile riscontrare nessun danno rilevante a carico sia delle ossa sia dei tessuti molli.

  • La chirurgia computer-assistita connessa a minor perdita di sangue in caso di artroplastica totale del ginocchio

    11/11/2015 - lo studio di un'equipe dell'Indiana University

    Il ricorso a un protocollo di navigazione abbreviato durante l’operazione chirurgica di artroplastica totale del ginocchio è in grado di causare perdite ematiche minori rispetto a quanto accade negli interventi eseguiti con strumentazione endomidollare convenzionale.

    Questo è il principale risultato di uno studio, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista The Journal of Arthroplasty, condotto da un’equipe medica attiva presso l’Indiana University.

    I ricercatori hanno analizzato la situazione di 100 pazienti, 50 dei quali sottoposti a un’operazione chirurgica di artroplastica totale del ginocchio con procedure computer-assistite (la restante parte del campione monitorato è stata trattata in maniera convenzionale).

    La perdita di sangue, assieme alla variazione dei livelli di emoglobina, è stata considerata come outcome primario in entrambi i gruppi. I risultati finali hanno portato in evidenza come nel complesso la chirurgia computer-assistita sia in grado di diminuire la quantità di sangue perso per tutte le misure di esito primarie.

    Per la precisione i ricercatori hanno individuato come la potenza di scarico nei pazienti operati con procedure computer-assistite fosse a 512 mL, contro i 643 del gruppo convenzionale.

    Per quanto riguarda invece i livelli di emoglobina, gli esiti hanno portato alla luce una variazione media di 2,2 g/dl nel gruppo trattato con chirurgia computer-assistita, mentre per la parte del campione sottoposta a procedure chirurgiche convenzionali si è parlato
    di valori pari a 3,1 g/dl.
    Grazie alla chirurgia computer-assistita, considerata in generale molto efficace, è anche possibile posizionare meglio le componenti della protesi.

  • Vetri antibatterici per prevenire le infezioni associate agli impianti chirurgici

    11/11/2015 - i risultati di uno studio spagnolo

    Un recente studio congiunto condotto da due equipe scientifiche attive presso l’Università di Oviedo e l’Università di Madrid ha portato alla luce l’efficacia di tre rivestimenti di vetro, tutti sviluppati a Oviedo dal CINN ( Nanomaterials and Nanotechnology Research Center), nel controllo delle infezioni peri impianto.

    L’uso di questi rivestimenti su impianti medici - quindi anche su protesi ortopediche - in grado di diminuire significativamente la colonizzazione batterica e la progressione della malattia.

    Quando si parla di colonizzazione batterica degli impianti chirurgici si inquadra un problema medico d’importanza non indifferente - basti pensare che si tratta della prima causa di fallimento nell’impianto di protesi al ginocchio e il terzo fattore critico quando si parla di protesi all’anca - che impatta sulle spese sanitarie nazionali (negli USA sono stati spesi 672 milioni di dollari solo nel 2010per sostituire protesi al ginocchio).

    Grazie a un modello d’induzione dell’infezione peri impianto in 5 cani è stato possibile individuare come l’applicazione di vetro bioattivo inibisca la formazione di film superficiali in vitro e in vivo.

    Uno di questi vetri bioattivi, noto con il nome tecnico di G3, ha dimostrato una maggior efficacia nel contenimento della colonizzazione batterica e nel rallentamento della progressione della malattia.

    La ricerca riguardante i suddetti vetri bioattivi è focalizzata sull’ambito medico, ma gli autori dello studio non hanno escluso altre possibilità applicative, riguardanti per esempio il trattamento d’impianti di condizionamento d’aria con lo scopo preciso di prevenire la crescita della Legionella.

  • Aspirazione dell’ematoma nelle fratture alla caviglia: studio sui benefici clinici

    27/10/2015 - I risultati di uno studio randomizzato in doppio cieco

    I risultati di uno studio randomizzato in doppio cieco con placebo hanno indicato la pratica dell’aspirazione degli ematomi nelle fratture acute alla caviglia come un fattore in grado di favorire la diminuzione del dolore nei 3 giorni successivi all’infortunio. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Journal of Orthopaedic Trauma.

    Il Dottor Timothy J. Ewald, attivo presso il dipartimento di ortopedia della Mayo Clinic di Rochester, ha valutato assieme al suo team i casi di 124 pazienti con fratture chiuse e isolate alla caviglia. Il campione è stato diviso in due gruppi, sottoposti rispettivamente ad aspirazione dell’ematoma e a una procedura simulata.

    Il livello di dolore è stato rilevato attraverso il Numeric Rating Scale, tenendo conanche l’utilizzo di farmaci antidolorifici nelle 72 ore successive all’infortunio.Dai risultati è emerso che i due gruppi non erano statisticamente differenti per quanto riguarda i dati demografici.

    Non è stata individuata alcuna differenza significativa neppure nelle 72 ore successive all’infortunio.

    Il Dottor Ewald e la sua equipe hanno notato che nel gruppo sottoposto ad aspirazione del trauma l’arto compromesso risultava più grande del 12,9% rispetto a quello sano. Anche per quanto riguarda i tassi d’insorgenza di complicazioni e di revisione chirurgica non sono state riscontrate delle differenze significative.

  • Fattori di rischio d’infezione dopo il trattamento della frattura alla caviglia

    27/10/2015 - I risultati dell'analisi dei record di circa 1000 pazienti

    I risultati di uno studio retrospettivo presentato durante l’ultima edizione dell’Orthopaedic Trauma Association Annual Meeting hanno individuato il diabete e il ricorso a farmaci immunosoppressori come fattori di rischio per l’insorgenza d’infezioni successive al trattamento chirurgico delle fratture alla caviglia.

    L’equipe medica che ha curato lo studio ha analizzato i record di 1.003 pazienti sottoposti a intervento chirurgico in seguito a una frattura alla caviglia. Ai fini dell’analisi è stata definita ‘infezione’ una combinazione di purulenze sia superficiali sia profonde, così come la deiscenza
    della ferita (si utilizza tale termine per indicare la riapertura di una ferità già suturata).

    L’incidenza dell’insorgere di purulenze è risultata pari al 12%, con una crescita fino al 17% includendo anche i casi di deiscenza della ferita.

    In seguito alle analisi di regressione, è stato possibile individuare come maggiori fattori di rischio d’insorgenza d’infezioni il sesso maschile, il diabete, il tabagismo, l’assunzione di farmaci immunosoppressori (ne esistono anche altri, ma questi sono quelli maggiormente controllabili
    soprattutto da parte del paziente).

    Nel complesso sono stati identificati 87 casi di malconsolidamento, pseudoartrosi e di perdita della riduzione, tutte complicanze causate dalle già ricordate infezioni.

  • Maggior sollievo dal dolore nei casi di riparazione delle fratture con blocco nervoso

    07/10/2015 - I risultati di uno studio USA

    I pazienti che sono stati sottoposti a inieizioni per indurre blocchi nervosi come protocollo post operatorio successivo a interventi chirurgici per frattura della tibia e della caviglia hanno dichiarato maggior sollievo dal dolore a un follow up di 24 ore dall’esecuzione dell’intervento chirurgico.

    Il dottor Nabil Elkassabany - docente presso la University of Pennsylvania - e il suo team di ricerca hanno monitorato la situazione di 93 pazienti sottoposti a interventi chirurgici per fratture della caviglia e della tibia.

    Sul totale del campione, 54 pazienti sono stati sottoposti a blocchi nervosi periferici come parte del percorso post operatorio. Per valutare il recupero, al già ricordato follow up di 24 ore dopo l’intervento, è stata utilizzata la versione breve del Quality of Recovery Questionnaire.

    I risultati - misurati definitivamente dopo un secondo follow up di 48 ore - hanno portato alla luce un maggior sollievo dal dolore nei pazienti annoverati nel gruppo sperimentale. Nel gruppo di controllo è stata individuata anche una frequenza significativamente più alta di eventi avversi e un maggior impatto del dolore dal punto di vista emotivo. Al follow up di 48 ore è stata riscontrata una differenza meno significativa per quel che concerne i punteggi del dolore.

  • Impianti in titanio e infezioni post operatorie: dalla Francia un biofilm per prevenirle

    07/10/2015 - il risultato del lavoro di un team di ricerca dell'Università di Strasburgo

    Un team di ricercatori dell’Università di Strasburgo ha messo a punto un biofilm antimicotico, antimicrobico e con proprietà antinfiammatorie. Lo scopo principale è l’applicazione sugli impianti in titanio, così da prevenire le infezioni post operatorie.

    Secondo quanto riportato nel comunicato stampa ufficiale uscito lo scorso 21 settembre, i ricercatori hanno utilizzato una combinazione di poliarginina e acido ialuronico.

    La poliarginina è in grado di essere metabolizzata dalle cellule del sistema immunitario, e quindi efficace contro gli agenti patogeni. L’acido ialuronico, naturalmente presenta all’interno del corpo umano, è stato scelto proprio per la sua biocompatibilità e per l’effetto d’inibizione sulla crescita dei batteri. Il biofilm in questione è un caso unico anche perché è ricco di peptidi antimicrobici naturali, come per esempio il catestatin.

    Questi peptidi non sono tossici per il corpo umano e sono in grado di uccidere i batteri creando buchi sulla loro parete cellulare. I ricercatori hanno dimostrato che la presenza di questo biofilm sugli impianti in titanio è in grado, in seguito al contatto con il sangue umano, è in grado di sopprimere l’attivazione di marcatori infiammatori normalmente prodotti dalle cellule del sistema immunitario in risposta alla presenza dell’impianto.

    Questo biofilm è in grado di bloccare sul lungo termine la crescita di stafilococchi, ceppi di lievito e funghi, i maggiori responsabili dell’insorgenza d’infezioni successive all’inserimento d’impianti ortopedici in titanio.

  • Artrite reumatoide: l’intervento di sostituzione del ginocchio migliora la qualità della vita?

    09/09/2015 - I risultati di uno studio condotto presso la University of Nebraska

    Uno studio condotto da un’equipe medica attiva presso la University of Nebraska ha analizzato l’efficacia dell’intervento chirurgico di sostituzione totale del ginocchio come fattore di miglioramento della qualità della vita dei pazienti che soffrono di artrite reumatoide. I risultati finali sono stati pubblicati sulle pagine della rivista specialistica Arthritis and Rheumatology.

    Basandosi sui dati provenienti dalla National Data Bank for Rheumatic Diseases, sono stati monitorati i casi di 834 pazienti affetti da artite reumatoide e di 315 con problemi di osteoartrite - i soggetti inclusi nei succitati gruppi erano stati sottoposti a un intervento di sostituzione totale del ginocchio tra il 1999 e il 2012 - osservando in particolare il livello del dolore a sei mesi dall’operazione.

    I numeri non sono certo consistenti, ma si tratta comunque di uno dei più importanti studi dedicati all’impatto della chirurgia sostitutiva del ginocchio - che nel solo 2014 è stata eseguita su più di 720.000 persone in USA - sulla vita quotidiana dei pazienti affetti da artite reumatoide.

    Secondo quanto rivelato dal Dottor Kaleb Michaud (condirettore della National Data Bank for Rheumatics Diseases) la sostituzione totale del ginocchio può migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da artrite reumatoide, anche se gli episodi artritici non scompaiono totalmente.

    Se ai pazienti con osteoartrite la sostituzione del ginocchio può garantire 10/12 anni senza dolore, chi soffre di artrite reumatoide, sempre secondo quanto emerso dai risultati dello studio, non deve aspettarsi i medesimi risultati a lungo termine.

  • Staminali mesenichimali e acido ialuronico: rigenerazione della cartilagine del ginocchio di alcuni maialini

    09/09/2015 - un importante trampolino per una futura applicazione sull'uomo

    Dalla Sung Kyun Kwan University di Seoul è arrivata la notizia della ricrescita cartilaginea avvenuta in maialini con il ginocchio danneggiato e trattato con una miscela di cellule staminali mesenchimali e acido ialuronico (nel corso di precedenti ricerche la medesima equipe aveva rigenerato con successo la cartilagine di alcuni ratti e conigli). L’intero percorso di ricerca è stato illustrati in un articolo pubblicato sulle pagine della rivista Stem Cells Translational Medicine.

    La particolare miscela di cellule staminali è assai promettente in quanto antinfiammatoria, immunitaria e molto facile da ottenere e immagazzinare. Dopo i ratti e i conigli è stato effettuata una procedura di testing su animali più grandi (la scelta è caduta sui maiali in quanto fisiologicamente simili agli esseri umani).

    Il Dottor Chul Won Ha - uno dei principali autori dello studio - ha affermato che, 12 settimane dopo le inoculazioni, non è stata individuata alcuna evidenza di risultati anomali in grado di suggerire rischio di rigetto o d’infezione (questo in nessuno dei 6 suini trattati con la succitata miscela).

    Gli esiti hanno portato l’equipe medica a concludere che il trapianto di cellule staminali mesenchimali derivanti dal sangue del cordone ombelicale umano e miscelate ad acido ialuronico è in grado di garantire il 4% di probabilità in più di rigenerazione della cartilagine del ginocchio, questo indipendentemente dalla specie.

    I risultati positivi costanti negli animali possono rappresentare un valido trampolino di lancio per l’applicazione della medesima terapia sull’uomo.

  • Ricostruzione del crociato anteriore: studio sull’efficacia di diversi tipi d’innesto

    24/07/2015 - ecco i risultati di uno studio condotto presso l'Università di Pittsburgh

    Uno studio condotto da un’equipe medica attiva presso l’Università di Pittsburgh e presentato all’ultimo meeting annuale dell’American Orthopaedic Society for Sports Medicine, ha portato in evidenza come, in caso di ricostruzione chirurgica del crociato anteriore, sia possibile considerare sia gli innesti osso-tendine-osso, sia gli autoinnesti del tendine del ginocchio.

    Lo studio si è basato sul monitoraggio della situazione di 12 pazienti - età media 24 anni- tutti sottoposti a ricostruzione anatomica del legamento crociato anteriore.A sei è stato praticato un trapianto autologo del tendine del ginocchio, mentre l’altra metà
    dei soggetti annoverati è stata sottoposta a un innesto osso-tendine-osso (considerata dalla maggior parte della comunità medica l’alternativa in grado di garantire una guarigione più rapida).

    I movimenti dei pazienti sono stati osservati a un follow up di sei mesi dall’intervento e poi a un anno dall’operazione, senza la rilevazione di differenze sostanziali.Questo studio, che rimane comunque pilota viste la scarsa consistenza numerica del campione monitorato, ha portato in evidenza dei risultati che possono avere conseguenze sui protocolli di terapia fisica e sui tempi di ritorno alla pratica di sport agonistici in caso
    di ricostruzione chirurgica del legamento crociato anteriore.

  • Studio sull’efficacia dell’applicazione topica di perossido di benzoile nelle operazioni chirurgiche alla spalla

    07/07/2015 - I risultati di uno studio condotto presso l'Università di Yale

    Uno studio, i cui dettagli sono stati resi pubblici sulle pagine della rivista The Journal of Shoulder and Elbow Surgery, ha valutato l’efficacia dell’applicazione topica di perossido di benzoile nella preparazione della pelle in vista di operazioni chirurgiche alla spalla, il tutto con l’obiettivo di contrastare la crescita del Propionibacterium acnes (batterio gram-positivo collegato a patologie della cute come l’acne), che può causare l’insorgenza d’infezioni.

    Lo studio, condotto da un’equipe attiva presso la scuola di medicina dell’Università di Yale, ha coinvolto 50 pazienti, tutti sottoposti per la prima volta a chirurgia artroscopica alla spalla.

    I soggetti appena citati sono stati trattati 48 ore prima dell’intervento con perossido di benzoile applicato a livello topico sotto forma di pomata. Dopo i processi di preparazione della cute all’operazione, sono stati ottenuti alcuni campioni della pelle dei pazienti annoverati nel campione.

    In seguito a una coltura durata 14 giorni, è stato possibile riscontrare l’efficacia del perossido di benzoile nel contrasto del Propionibacterium acnes.I costi associati alle infezioni sono una criticità non indifferente per chi si occupa di chirurgia della spalla, e questo studio è uno dei primi ad aver analizzato gli effetti sulla spalla di un trattamento utilizzato per combattere l’acne sul viso per oltre 50 anni, portando in evidenza risultati di grande importanza nel percorso di riduzione delle complicazioni.

  • Studio sul modello genetico della cartilagine

    07/07/2015 - I risultati di uno studio giapponese

    Uno studio pubblicato sulle pagine della rivista Cell Report e condotto da un’equipe di studiosi attivi presso l’Università di Tokyo ha esplorato il modo in cui la proteina SOX9 regola la produzione di cartilagine.

    Come affermato dal Dottor Xinjun He, uno degli autori che hanno firmato il paper, l’obiettivo principale dello studio è stato l’individuazione del ruolo della succitata proteina nella produzione dei condrociti. I ricercatori hanno riscontrato che la proteina SOX9 può legarsi al DNA delle cellule in maniera diversa. In alcuni casi può capitare che le proteine in questione formino coppie che si legano direttamente al DNA, questo in presenza di modificatori molecolari.

    Quando tale processo ha luogo in più siti del DNA, si accendono i geni che trasformano le cellule in condrociti.Importante è ricordare che nelle legature appena descritte la proteina SOX9 e il DNA non combaciano perfettamente. In ogni caso la proteina opera in maniera simile in siti del
    corpo molto diversi tra loro, dal naso alle costole.

    Questo studio è importante in quanto permette un avanzamento delle conoscenze relative al ruolo della proteina SOX9, le cui mutazioni possono determinare l’insorgenza di patologie molto gravi a livello osseo e respiratorio.

  • Nuovo trattamento contro l’obesità che previene la perdita di massa ossea

    17/06/2015 - I risultati di uno studio danese

    La perdita di massa ossea è una delle conseguenze dei cali di peso successivi ai trattamenti contro l’obesità. Si tratta però anche di un fattore in grado di determinare una crescita del rischio di fratture ossee.

    Dall’Università di Copenaghen arriva uno studio che si propone di risolvere questo problema. In che modo? Procedendo al trattamento dell’obesità con l’ormone intestinale GLP-1.

    Lo studio ha monitorato la situazione di 37 donne interessate da una perdita di peso di circa 12 kg a testa in seguito a una dieta a basso contenuto calorico. Le pazienti annoverate nel campione sono state divise in due gruppi, uno di controllo e uno trattato con il GLP-1 iraglutide analogico.

    A un follow up di un anno, è stata dimostrata nelle donne facenti parte del gruppo sperimentale una bassa diminuzione di massa ossea e un aumento dei livelli ematici di marcatori ad essa legati.

    Il ruolo degli ormoni intestinali nella formazione di tessuto osseo è stato a lungo oggetto di studi, e questo lavoro apre la strada ad altri processi di analisi che potrebbero essere in grado di determinare numerosi benefici, in particolare a quell’importante cluster di pazienti costituito dalle donne in menopausa che, dopo aver perso peso, sono interessate da un più alto rischio di fratture osee ed osteoporosi.

  • Studio sul ruolo delle cellule staminali mesenchimali derivanti da tessuto adiposo nella riparazione dell’osteonecrosi

    17/06/2015 - Il risultato del monitoraggio di 15 pazienti della clinica Mayo di Rochester

    Le cellule staminali mesenchimali derivanti dal midollo osseo vengono utilizzate spesso come opzione terapeutica per il trattamento dell’osteonecrosi alla testa del femore, anche se il successo generale è comunque limitato. Le formazioni cellulari del medesimo tipo derivanti da tessuto adiposo possono essere però più efficaci per via della loro maggior quantità numerica e per la protezione dallo stress fisiologico.

    Presso la Mayo Clinic di Rochester è stato effettuato uno studio clinico per indagare quanto appena specificato.Da 15 pazienti sottoposti a protesi all’anca per osteonecrosi avanzata della testa femorale sono stati prelevati campioni di tessuto adiposo e di midollo osseo. Le cellule staminali mesenchimali sono state in tutti e due i casi isolate e coltivate per 14 giorni in mezzi di differenziamento osteogenico, con successiva misura della fosfatasi alcalina.

    Nelle cellule staminali mesenchimali derivanti da tessuto adiposo è stata notata una capacità di proliferazione quattro volte superiore rispetto alle cellule staminali mesenchimali derivanti da midollo osseo, il tutto dopo 20 giorni di coltura.

    Nell’ottica del trattamento dell’osteonecrosi della testa femorale, è stata individuata una maggior efficacia del ricorso alle cellule staminali mesenchimali derivanti da tessuto adiposo rispetto a quelle derivanti da midollo osseo.

    Per valutare gli effetti di queste terapie su pazienti in fase iniziale della patologia è però necessaria l’esecuzione di uno studio prospettico.

  • Cellule staminali del midollo osseo umano e guarigione ossea nei pazienti diabetici

    25/05/2015 - i risultati di uno studio irlandese

    Le cellule staminali del midollo osseo umano possono contribuire alla guarigione delle lesioni ossee nei pazienti diabetici. Questo il principale risultato di uno studio clinico condotto da un’equipe della National University of Galway e presentato all’ultima edizione dell’European Congress of Endocrinology di Dublino.

    L’integrazione di cellule staminali provenienti dal midollo osseo umano costituirebbe un fattore positivo per il processo di riparazione ossea in pazienti diabetici, un percorso che è più difficile rispetto a quanto si può riscontrare nei soggetti che non soffrono di questa malattia, il tutto a causa di una maggiore fragilità.

    Migliore è risultata anche la resistenza dell’osso neoformato. I ricercatori dell’Università di Galway hanno integrato cellule staminali provenienti dal midollo osseo di un paziente non diabetico in un osso fratturato, evidenziando risultati di gran lunga migliori rispetto a quanto accaduto con il gruppo di controllo.

    Il team di ricerca ha anche sviluppato una procedura di testing avente l’obiettivo di rilevare la posizione e il numero delle cellule staminali dopo che sono state aggiunte e hanno iniziato a lavorare per la risoluzione della frattura. I prossimi passi in merito saranno orientati al miglioramento della procedura tecnica, al fine di poter presto parlare di un’applicazione clinica.

  • Il ruolo degli ultrasuoni portatili nella rilevazione delle fratture minori

    25/05/2015 - L'indagine è stata effettuata su 97 pazienti volontari

    Gli ultrasuoni portatili ricoprono un ruolo positivo nella rilevazione delle fratture minori. Si tratta del principale risultato di uno studio britannico, che ha coinvolto nel corso di 12 mesi 97 pazienti del Cirencester Hospital dell’omonima località del Regno Unito, che si sono sottoposti volontariamente al monitoraggio.

    Il rilevamento di fratture minori tramite ultrasuoni portatili potrebbe rivelarsi molto utile per i medici che gestiscono le emergenze, e consentirebbe di diminuire l’esposizione dei pazienti alle radiazioni.

    Lo studio ha coinvolto 97 pazienti con sospette fratture minori. I soggetti inclusi nel campione sono stati sottoposti a raggi X e a un’ecografia della zona danneggiata (si trattava sempre di fratture chiuse).

    La radiografia ha permesso di rilevare le fratture in 60 pazienti. L’esecuzione dell’ecografia ha invece consentito l’individuazione di fratture minori in 51 pazienti, 24 dei quali con fratture a carico del braccio.

    I pazienti che hanno preso parte allo studio hanno parlato dell’ecografia come di un metodo meno doloroso rispetto alla radiografia. Secondo quanto dichiarato dagli autori dello studio l’ecografia è un metodo utile per rilevare le fratture del radio distale e dell’ulna, e a fronte di questa situazione è possibile parlare di un’importanza crescente dei dispositivi a ultrasuoni portatili, utili a rilevare fratture lievi, a volte difficili da individuare negli ambienti di pronto soccorso.

  • Dall’Università dell’Iowa il progetto di un gel iniettabile per curare le lesioni al ginocchio

    06/05/2015 - ecco come cambierebbero le cose per delle lesioni molto gravi

    Le lesioni cartilaginee al ginocchio sono causa di problemi fisici molto importanti, soprattutto per chi pratica attività sportiva. Non esiste attualmente un’opzione chirurgica in grado di garantire efficacia sul lungo periodo senza complicazioni.

    Una novità molto interessante per superare questo stato di cose arriva da un team di ricerca dell’Università dell’Iowa, dove è in corso un progetto per la realizzazione di un gel iniettabile in grado di riparare le lesioni cartilaginee del ginocchio.

    Su cosa si basa il tutto? In primo luogo sull’individuazione delle cellule precursori all’interno della cartilagine non danneggiata (si tratta di formazioni in grado di creare ulteriore tessuto cartilagineo), poi sulla scoperta dei fattori di segnalazione molecolari che attirano queste cellule.

    Uno di questi segnali, conosciuto con la sigla SDF1, è stato inserito nel gel iniettabile, così da causare la migrazione delle cellule e la conseguente riparazione del danno cartilagineo.

    Per fare in modo che la terapia sia applicabile su pazienti umani, ora la squadra dell’Università dell’Iowa deve includere il fattore di crescita, per dare il via a un rilascio graduale del SDF1.I vertici dell’equipe hanno in programma di avviare entro un anno la sperimentazione su animali.

  • Ricerche congiunte tra Nuova Zelanda e Corea del Sud per migliorare le terapie di riparazione cartilaginea

    06/05/2015 - ecco tutte le prospettive di uno studio congiunto

    Un processo di ricerca congiunto che vede coinvolte la Masey University di Otago (Nuova Zelanda) e la Seoul National University sta cercando soluzioni per migliorare le terapie di riparazione della cartilagine umana e dei cavalli (caratterizzata da una struttura e da una funzionalità con poche differenze rispetto alla nostra), con l’obiettivo di risolvere eventuali lesioni prima dell’insorgenza di osteoartrite.

    In programma vi è in primo luogo la creazione di un modello 3D che imiti la struttura e la forma della cartilagine del ginocchio. Il processo prevede in seguito l’iniezione di cellule staminali ottenute dal cordone ombelicale, con l’obiettivo di stimolare la crescita dei condrociti, creando così tessuto cartilagineo sano.

    I condrociti con l’impalcatura di sostegno verranno poi impiantati nel ginocchio di alcuni cavalli in corrispondenza di zone lesionate, in modo da vedere l’effettiva capacità di generare tessuto cartilagineo integro.La forza di questa partnership internazionale consiste nel riunire scienziati che si occupano di diverse discipline, condividendo le capacità di ricerca relative da una parte alla realizzazione di modelli 3D, dall’altra all’isolamento delle cellule staminali.

  • Studio sul motivo dell’alta frequenza di lesioni tendinee nei soggetti anziani

    29/04/2015 - I risultati di uno studio inglese

    Una ricerca effettuata da un’equipe medica attiva presso la Queen Mary University di Londra ha indagato il motivo per cui le lesioni tendinee sono molto frequenti nei soggetti di età matura.

    Nello studio - portato avanti in collaborazione con l’Università di Liverpool - sono stati utilizzati tendini di cavalli, la cui struttura è molto simile a quella dei tendini umani.

    Diversi studi in passato hanno portato in evidenza come l’irrigidimento che aumenta con l’età sia la principale causa di lesioni tendinee: la ricerca della Queen Mary University ha confermato il dato, sottolineando anche il ruolo della degradazione proteica.

    Residui di degradazione proteica sono stati individuati sia analizzando tendini sani, sia osservando la situazione di tendini lesionati. Nel caso di cavalli di età avanzata è stato possibile riscontrare un accumulo maggiore, che ha fatto presagire una ridotta capacità delle cellule nella riparazione dei danni.

    Secondo uno degli autori dello studio, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Journal of Biological Chemistry, questo traguardo può rivestire una grande importanza nel percorso verso strategie utili alla prevenzione della degenerazione del tessuto dei tendini durante l’invecchiamento.

  • Artrosi alla caviglia e benefici dell’artroplastica totale

    29/04/2015 - I risultati del monitoraggio di 42 casi

    L’artroplastica totale alla caviglia è considerata una soluzione valida per migliorare i parametri di pazienti over 70 affetti da artrosi alla caviglia. Alcuni ricercatori attivi presso la Emory University School of Medicine di Atlanta hanno confrontato i risultati di operazioni di artroplastica totale della caviglia, interventi eseguiti dal medesimo chirurgo tra il 1999 e il 2010 su pazienti di diverse età (sono stati monitorati per la precisione 42 casi).

    L’artroplastica totale è ormai la soluzione più frequente per il trattamento dell’artrosi alla caviglia in stato avanzato soprattutto tra i pazienti in età senile, un gruppo in grande crescita negli ultimi anni.

    I ricercatori hanno monitorato il cammino prima dell’intervento e a un follow up di un anno. L’analisi finale ha portato in evidenza miglioramenti sostanziali per quanto riguarda i parametri spazio-temporali, cinematici e cinetici, senza particolari differenze tra i pazienti over 70 e quelli più vicini alla cinquantina.

    Tra i limiti dello studio in questione, presentato durante l’edizione 2015 dell’Annual Meeting of the American Academy of Orthopedic Surgeons, è possibile ricordare la mancanza di dati sul periodo postoperatorio, sulla durata del ricovero e in merito a eventi avversi.

  • Studio sul ruolo della produzione di tessuto osseo come fattore terapeutico per osteoporosi ed obesità

    22/04/2015 - I risultati di uno studio condotto presso l'Università di Miami

    Secondo uno studio clinico condotto dal Dottor Joshua Hare, che si occupa di ricerca sulle cellule staminali presso l’Università di Miami, la produzione di tessuto osseo può influire in maniera molto positiva sulla qualità della vita dei pazienti.

    L’attività delle cellule mesenchimali si basa su un meccanismo biochimico che determina se diventano cellule osee oppure adipose.

    Lo studio condotto dal Dottor Hare si è basato sul monitoraggio di un campione di topi privi dell’enzima che regola il livello di segnale ossido nitrico. Le cellule staminali mesenchimali del campione analizzato avevano prodotto meno cellule adipose e più cellule di tessuto osseo.

    Nelle succitate cellule staminali è stato inquadrato un particolare fattore - il recettore PPAR-gamma - in grado di determinare la differenziazione delle cellule mesenchimali in formazioni di natura ossea o in cellule adipose.

    Lo studio ha individuato come cruciale il controllo di tale recettore che, nello specifico caso del campione analizzato, non solo ha determinato una crescita ossea, ma anche una riduzione del peso corporeo dei topi.

    La scoperta risulta un punto di partenza molto interessante per quanto riguarda futuri sviluppi farmacologici improntati sulla produzione di presidi farmacologici in grado di modulare la massa grassa e la crescita ossea nel corso dell’età adulta.

  • Chirurgia sostitutiva del ginocchio: meno complicazioni per le donne

    22/04/2015 - I risultati di uno studio canadese

    Uno studio canadese, i cui risultati sono stati riportati sulle pagine della rivista Arthritis Digest, ha portato in luce come le complicazioni post operatorie successive a un intervento di chirurgia sostitutiva al ginocchio siano minori nelle donne piuttosto che negli uomini.

    I ricercatori si sono basati su un database riguardante la situazione di 37.881 individui - il 53,8% dei quali di sesso femminile - sottoposti a chirurgia sostitutiva dell’anca (il database copriva un lasso di tempo pari a 8 anni).

    È stata oggetto di monitoraggio anche la situazione di 59.5694 soggetti sottoposti a chirurgia sostitutiva del ginocchio (nel 60,4% si trattava di individui di sesso femminile).

    Negli individui di sesso maschile è stata individuata una probabilità maggiore del 15% di tornare in ospedale in seguito all’intervento chirurgico, per la precisione nell’arco dei 30 giorni successivi all’operazione. Più alta nei soggetti di sesso maschile anche la probabilità di attacchi cardiaci nel trimestre subito conseguente l’intervento di protesi articolare.

    I tassi di complicazione sono risultati comunque bassi per entrambi i sessi, ma per le donne è stato possibile individuare una situazione migliore, soprattutto per quanto riguarda la chirurgia protesica del ginocchio.

  • Nuove modalità di valutazione degli esiti delle lesioni meniscali

    09/04/2015 - I risultati di uno studio statunitense

    Il menisco ha un’importanza nota nella motilità di qualsiasi individuo ma, come ben si sa, può essere soggetto a numerose lesioni, spesso caratterizzate da un processo di guarigione non facile. Durante l’ultima edizione dello Specialty

    Day meeting of the American Orthopaedic Society for Sports Medicine è stato presentato uno studio che, attraverso i dati forniti dalla risonanza magnetica, ha indagato il potenziale di guarigione biologica a seguito di una rottura del menisco.

    Lo studio, portato avanti da un’equipe medica del Rothman Institute of Orthopaedics di Philadelphia, ha monitorato la situazione di 10 pazienti - cinque uomini e cinque donne - tutti reduci da un intervento di riparazione della radice del menisco mediale.

    A un follow up di 30 mesi, i risultati della risonanza magnetica hanno portato in evidenza nuove lesioni a livello mediale su quattro pazienti, che mostravano una mancata guarigione biologica in prossimità dell’attacco della radice meniscale, situazione che indica un notevole stress localizzato su quest’area anche in seguito a interventi di riparazione.

    Secondo quanto affermato dal Dottor Matthew D. Pepe, coordinatore dell’equipe che ha effettuato la ricerca, lo studio rappresenta un interessante punto di partenza per ottimizzare il lavoro sulle lesioni meniscali, che possono impattare in maniera importante sulla qualità di vita del soggetto che ne fa esperienza.

  • Le cellule staminali del midollo osseo possono favorire la guarigione delle lesioni alla cuffia dei rotatori

    09/04/2015 - I risultati di uno studio francese

    Un’iniezione di cellule staminali provenienti dal midollo osseo di un paziente durante un intervento chirurgico alla cuffia dei rotatori può migliorare considerevolmente il processo di guarigione. Questo è il principale risultato di uno studio presentato alla fine del mese di marzo durante l’ultima edizione dell’Annual Meeting of the American Academy of Orthopaedic Surgeons.

    Gli interventi alla cuffia dei rotatori coinvolgono ogni anno negli USA circa 2 milioni di pazienti, operati con l’obiettivo di ricollegare il tendine della spalla alla testa dell’omero. Le lesioni alla cuffia dei rotatori possono verificarsi in diverse situazioni, che vanno dalle cadute al sollevamento di oggetti pesanti.

    Lo studio nominato nelle righe precedenti, condotto da un’equipe medica dell’Università di Parigi, è apparso in alcune sue parti nel settembre 2014 sulle pagine della rivista International Orthopaedics.

    Il trial ha coinvolto 90 pazienti, tutti sottoposti a interventi chirurgici alla cuffia dei rotatori. Metà dei soggetti arruolati nel campione hanno ricevuto iniezioni di midollo osseo concentrato e di cellule staminali mesenchimali.

    A sei mesi dall’intervento, in tutti i pazienti facenti parte del gruppo sperimentale è stato possibile individuare la guarigione della cuffia dei rotatori. Tra i soggetti facenti parte del gruppo di controllo, che non aveva ricevuto alcuna iniezione di cellule staminali, i casi di guarigione completa sono stati invece 30.

  • Associazione tra regime alimentare e rischio di fratture all’anca negli uomini e nelle donne over 50 in menopausa

    25/03/2015 - i risultati di uno studio statunitense

    Esiste un’associazione tra regime alimentare e rischio di frattura all’anca negli uomini e nelle donne over 50 in menopausa? Uno studio condotto da un’equipe presso il Simmons College di Boston ha cercato di rispondere a questa domanda, attraverso l’analisi di un consistente numero di dati provenienti dal Nurses’ Health Study, uno studio clinico d’importantissime dimensioni iniziato nel 1976.

    La ricerca ha monitorato la situazione di 74.540 donne over 50 in post menopausa e di 35,451 uomini della medesima età, il tutto attraverso

    l’osservazione di dati raccolti nel corso di 30 anni (1980-2010). Né la cosiddetta dieta prudente, caratterizzata da un’elevata assunzione di frutta e verdura, né il modello occidentale, contraddistinto da una prevalenza di carne e cereali raffinati, sono risultati associati al rischio di frattura all’anca.

    Al follow up è stato possibile individuare 1.891 casi di fratture all’anca nelle donne e 596 negli uomini. Nessuno di questi, come già ricordato, è stato associato alla dieta prudente o al regime alimentare rispondente al modello occidentale.

    Non è stata inoltre individuata alcuna correlazione tra casi di fratture all’anca e BMI, stessa cosa per quanto riguarda i livelli di attività fisica.

  • Studio sul ruolo dei geni nelle lesioni al crociato anteriore

    25/03/2015 - i risultati di uno studio statunitense

    Le atlete di sesso femminile sopportano le lesioni al crociato anteriore molto

    meglio rispetto agli atleti uomini. Questo il principale risultato di uno studio

    condotto da un’equipe di ortopedici attivi presso l’Universityà di Akron, che hanno indagato le cause genetiche di questa differenza.

    La ricerca in questione, che potrebbe avere risvolti non indifferenti per quanto riguarda le procedure di allenamento a cui vengono sottoposte le giovani atlete, si è basata sul monitoraggio iniziale di 14 campioni di tessuto di legamenti crociati anteriori freschi di chirurgia, appartenenti a pazienti di entrambi i sessi.

    In seguito a un primo isolamento di 32 geni, è stato possibile individuarne tre, presenti soprattutto nei campioni delle pazienti di sesso femminile, che hanno dato origine a formazioni proteiche in grado di preservare meglio l’integrità del legamento crociato anteriore.

    I risultati dello studio, pubblicati sulle pagine del Journal of Bone & Joint Surgery, possono dare spazio a importanti sviluppi per quanto riguarda non solo le tecniche di allenamento, ma anche l’introduzione di momenti di consulenza genetica, utili per aiutare le giovani atlete a prendere le decisioni migliori sul loro futuro, con l’obiettivo di salvaguardare l’integrità dei legamenti crociati.

  • Fumatori: maggiore il rischio di osteoporosi negli uomini piuttosto che nelle donne

    17/03/2015 - i risultati di uno studio statunitense

    Uno studio clinico effettuato presso il National Jewish Health di Denver ha portato in luce come tra i fumatori gli uomini siano maggiormente a rischio di osteoporosi e fratture vertebrali rispetto alle donne.

    Le attuali linee guida non prevedono uno screening per l’osteoporosi negli uomini, anche se il fumo è universalmente riconosciuto come fattore di rischio. I ricercatori del National Jewish Health hanno esaminato la situazione di 3.221 fumatori ed ex fumatori di età compresa tra i 45 e gli 80 anni.

    L’11% del campione esaminato è stato trovato con una una densità minerale ossea normale, il 31% con dei valori intermedi, e il 58% con dei valori eccessivamente bassi.

    Gli uomini rappresentavano il 55% dei soggetti con densità minerale ossea troppo bassa. Per ogni anno di tabagismo è stata individuata una probabilità maggiore dello 0,4% di avere problemi di bassa densità minerale ossea, il principale fattore di rischio per l’osteoporosi, e di conseguenza per problemi di fratture vertebrali.

    La TAC, che viene utilizzata per lo screening ai polmoni dei fumatori forti, può rappresentare una valida alternativa anche quando si tratta di monitorare la densità minerale ossea in quella che è una popolazione comunque ad alto rischio.

  • I benefici della chirurgia dell’obesità sullo scheletro dei pazienti in età adolescenziale

    17/03/2015 -

    La densità dello scheletro degli adolescenti obesi è maggiore rispetto a quella dei coetanei senza problemi di peso, ma dopo l’intervento di bypass gastrico può raggiungere entro due anni livelli caratterizzati da assoluta normalità.

    Questo il principale risultato di uno studio clinico svedese, i cui risultati sono stati recentemente presentati nel corso di ENDO Annual Meeting, l’evento che ogni anno a San Diego vede raccogliersi i membri della Endocrine Society.

    L’equipe che ha condotto lo studio ha seguito la situazione di 72 adolescenti - 50 maschi e 22 femmine - tutti sottoposti a bypass gastrico per obesità patologica (età media 16,5 anni).

    Prima dell’intervento e a due anni di follow up, sono stati tutti sottoposti a mineralometria ossea computerizzata e ad analisi del sangue per monitorare la situazione dei marcatori ossei.

    I risultati finali hanno portato in luce un maggior turnover osseo (processo conosciuto anche con il nome di rimodellamento osseo) nei ragazzi piuttosto che nelle ragazze.

    I livelli - sia nei maschi sia nelle femmine - sono diminuiti in maniera sostanziale a due anni circa dall’intervento, rientrando nella normalità che caratterizza l’età adolescenziale. Si tratta del primo studio che ha analizzato i marker ossei in seguito a un’operazione di chirurgia bariatrica adolescenziale.

  • Malattia infiammatoria dell’intestino fattore di rischio per una bassa densità minerale ossea: i risultati di uno,stu

    02/03/2015 - i risultati di uno studio effettuato a Tokyo

    Un’equipe medica attiva presso la Keio University di Tokyo ha valutato la situazione di 388 pazienti dai 20 ai 50 anni: il campione era composto da soggetti con colite ulcerosa e da pazienti affetti da morbo di Crohn.

    Al basale è stata misurata la densità minerale ossea del femore e di altre ossa, e, attraverso analisi ematiche, è stata monitorata la concentrazione nel sangue di marcatori di metabolismo osseo.

    Attraverso specifici questionari è stata infine valutata la storia sanitaria dei pazienti arruolati per lo studio, con domande relative ad eventuali fratture e all’abitudine al tabagismo.

    I risultati finali hanno portato alla luce 78 pazienti con problemi di osteopenia sui 388 totali monitorati. La densità minerale ossea delle vertebre lombari è stata individuata inferiore nei soggetti di sesso maschile.

    Processi di analisi di regressione multivariata hanno portato in evidenza i seguenti fattori di rischio per la perdita di densità minerale ossea nei pazienti affetti da colite ulcerosa: sesso maschile, basso indice di massa corporea, frequente uso di steroidi.

    Le conclusioni finali dello studio hanno evidenziato come tra i soggetti affetti da malattie infiammatorie dell’intestino il sesso maschile e il basso indice di massa corporea possano costituire un fattore di maggior rischio legato alla perdita di densità minerale ossea.

    Questi risultati sono molto importanti per mettere a punto percorsi curativi in maniera tempestiva, assicurando ai pazienti affetti da criticità metaboliche alle ossa una qualità della vita migliore sul lungo termine.

  • Tacchi a stiletto fattori di rischio per l’osteoartrite: i risultati di uno studio californiano

    02/03/2015 - i risultati di uno studio della Stanford University

    L’abitudine di indossare i tacchi a stiletto può costituire un fattore di rischio per l’insorgenza di osteoartrite: è questo il principale risultato di uno studio condotto da un’equipe medica attiva presso la Stanford University.

    I dettagli della ricerca, pubblicati sulle pagine di Journal of Orthopaedic Research, riguardano il monitoraggio della situazione di 14 donne, la cui andatura è stato osservata in rapporto a diverse scarpe indossate.

    I ricercatori hanno notato che nel caso dei tacchi alti era più probabile che le ginocchia fossero piegate nel momento in cui le scarpe toccavano terra. Questo implica un carico eccessivo sulle articolazioni, in grado di raggiungere livelli insostenibili nei casi di persone in sovrappeso.

    Molti dei cambiamenti che i ricercatori hanno rilevato con l’aumentare dell’altezza del tallone dal suolo sono risultati molto simili a quelli osservabili con l’invecchiamento e con la progressione dell’osteoartrite.

    L’utilizzo del tacco alto non è quindi solo doloroso, ma può essere anche pericoloso per la salute delle articolazioni, e contribuire allo sviluppo della più comune forma di artrite, molto più diffusa tra i soggetti di sesso femminile.

    Un altro punto di vista interessante sul tema è quello del sito Arthritis Research UK, da anni in prima linea quando si parla d’informazione sanitaria sul problema dell’artrite, che ha parlato degli stiletti come di un fattore causale dell’accorciamento del tendine d’Achille.

  • Sistema di monitoraggio del potenziale di rigenerazione ossea delle staminali embrionali:i risultati di una ricerca dell

    20/02/2015 - I risultati di uno studio cinese

    Un sistema in grado di monitorare e rilevare il potenziale di rigenerazione ossea delle cellule staminali embrionali: è questo il principale risultato di un lavoro di equipe condotto presso l’Università del Minnesota.
    Si tratta del primo caso di questo genere riguardante le cellule staminali pluripotenti umane. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Stem Cell Report.
    Il lavoro si è basato sulle rilevazioni fornite dalla proteina RUNX2, che ha permesso ai ricercatori di capire se alcune cellule staminali pluripotenti umane potevano essere utili o meno nella rigenerazione ossea.
    In alcuni casi è stato possibile riscontrare effetti positivi nella riparazione delle ossa del cranio di alcuni topi affetti da immunodeficienze. La pubblicazione sulla rivista Stem Cell Report è il secondo step di un lavoro condotto dalla medesima equipe, i cui dettagli sono stati invece pubblicati sulle pagine di Stem Cells. In quel caso la ricerca aveva portato alla luce la possibilità d’isolare dalle cellule del sangue un gruppo di cellule progenitrici delle staminali pluripotenti umane.
    Il sistema di rilevazione messo a punto nel lavoro che ha portato alla ricerca pubblicata su Stem Cell Report verrà ora utilizzato per testare nuovi potenziali composti terapeutici.

  • Consumo di vino e birra e rischio di osteoartrite al ginocchio e all’anca:i risultati di uno studio inglese

    20/02/2015 - le valutazioni di una ricerca inglese

    Valutare l’associazione tra bevande alcoliche e analcoliche e insorgenza di osteoartrite al ginocchio e all’anca: questo l’obiettivo di uno studio condotto da un’equipe medica dell’Università di Nottingham.

    Lo studio si è basato sul monitoraggio della situazione di un campione composto da uomini e donne di razza caucasica, e di età compresa tra i 45 e gli 86 anni. Nel succitato campione sono stati annoverati soggetti con situazioni di osteoatrite a carico del ginocchio e dell’anca, e pazienti con un quadro clinico sano da questo punto di vista.

    Attraverso la somministrazione di questionari è stato possibile valutare il tipo di bevande consumate con maggior frequenza tra i 21 e i 50 anni. Attraverso l’utilizzo di modelli di regressione è stato possibile ottenere risultati che hanno inquadrato una correlazione tra aumento del consumo di birra e rischio di osteoartrite.

    L’incremento nel consumo di vino è stato invece associato a minori probabilità d’insorgenza di osteoartrite del ginocchio. Non è stata individuata alcuna correlazione tra il consumo di bevande analcoliche e l’insorgenza di osteoatrite al ginocchio e all’anca. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista online Arthritis Research & Therapy.

  • Apporto orale di ATP dopo artroplastica totale del ginocchio: i risultati di uno studio cinese

    27/01/2015 - I risultati di uno studio cinese

    L’apporto orale a breve termine di adenosina trifosfato potrebbe arrecare benefici ai pazienti sottoposti ad artroplastica totale del ginocchio. Questo è il principale esito di uno studio clinico effettuato da un’equipe medica attiva presso il General Hospital di Pechino.

    Nello studio sono stati arruolati 244 pazienti, divisi in due gruppi della medesimaentità numerica. A un gruppo è stata somministrata oralmente una dose di ATP pari a 120 mg giornalieri, mentre all’altra metà del campione è stata assegnata una dose di placebo.

    I parametri iniziali per l’esito hanno preso in considerazione la forza del quadricipite, mentre quelli secondari hanno monitorato i punteggi di dolore, il consumo di analgesici e la durata della degenza ospedaliera.

    I ricercatori hanno valutato i pazienti prima dell’intervento e fino a 28 giorni dopo. Alla conclusione dello studio è stato possibile avere in mano i dati di 119 pazienti del gruppo di trattamento e di 113 del gruppo placebo.

    I risultati hanno portato in luce una maggior forza nel quadricipite associata ai pazienti inclusi nel gruppo di trattamento, assieme a punteggi del dolore notevolmente migliori, soprattutto nei giorni successivi alla prima settimana dall’operazione. Nei primi tre giorni successivi all’operazione non sono state individuate differenze sostanziali riguardanti la forza del quadricipite e i punteggi di dolore.

  • Primi sintomi dell’artrite avvertiti quando si salgono le scale: i risultati di uno studio inglese

    27/01/2015 - Gli esiti del lavoro di un'equipe dell'Università di Leeds

    I primi sintomi dell’insorgenza di osteoartrite possono essere avvertiti mentre si utlizzano le scale, e manifestarsi attraverso dolore al ginocchio. Questo è il principale risultato di uno studio clinico condotto da un’equipe dell’Università di Leeds.

    Il report della ricerca è stato pubblicato sulle pagine della rivista Arthritis Care & Research, e ha portato alla luce un lavoro effettuato con l’obiettivo di migliorare i processi di diagnosi precoce di osteoatrite.

    Il trial ha monitorato la situazione di 4.673 persone con osteoartrite o ad alto rischio di problemi legati a questa patologia. I partecipanti sono stati sottoposti a questionari fino a un follow up di sette anni, con l’obiettivo di aiutare l’equipe medica a inquadrare il livello di dolore associato a diverse attività quotidiane.

    L’uso di scale è risultata l’attività maggiormente associata all’insorgenza di dolore. Tale situazione è risultata seguita da episodi di dolore anche nel corso della deambulazione, del mantenimento della posizione eretta, di quella seduta, e delle ore di riposo a letto.

    Il coordinatore scientifico dell’equipe, il Professor Philip Conaghan, ha sottolineato l’importanza del risultato, essenziale per colmare le carenze scientifiche relative ai sintomi iniziali dell’osteoartrite.

  • Dolore da osteoartrite: studio evidenzia i vantaggi delle sostituzioni articolari

    15/01/2015 - I benefici della sostituzione articolare per il sollievo del dolore muscoloscheletrico

    I soggetti che soffrono per via di frequenti episodi di dolore dovuti all’osteoartrite possono avere sollievo da questo punto di vista in seguito a operazioni chirurgiche di sostituzione articolare.

    Questo è il principale risultato di una ricerca condotta da Harris Poll, che ha monitorato la situazione di 2.626 persone tra i 45 e i 75 anni. Il 94% dei soggetti facenti parte del campione ha raccontato della presenza di un dolore da osteoartrite di livello importante, il tutto prima dell’esecuzione di un intervento chirurgico di sostituzione articolare.

    Il 71% dei soggetti arruolati nella ricerca ha dichiarato di essersi sottoposto a operazioni chirurgiche di questa natura, e i dati associati a tali situazioni hanno portato alla luce una maggior qualità riguardante la salute mentale rispetto ai casi in cui l’intervento non era stato effettuato.

    Per sensibilizzare sul tema rilevante del dolore articolare da osteoartrite e sul suo ruolo nella vita quotidiana dei pazienti è stato messo online un sito web, che, sotto il claim It’s more than joint pain, presenta dei contributi molto interessanti dedicati a chi fa ogni giorno esperienza con il problema, e ha la possibilità, sulle pagine del portale, di confrontare la sua situazione con i dati estrapolati da numerosi sondaggi effettuati sul territorio nazionale statunitense.

  • Stelo femorale: studio sulle conseguenze sulla densità minerale ossea

    15/01/2015 - I risultati di uno studio britannico

    I pazienti sottoposti a intervento d’impianto della protesi all’anca possono palesare conseguenze differenti sulla densità minerale ossea a seconda che lo stelo femorale utilizzato dal chirurgo sia in fibra SR71 di metallo-carbonio o totalmente in metallo.

    Questo è il risultato generale di uno studio clinico congiunto irlandese e inglese, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine di The Journal of Bone and Joint Surgery.

    I ricercaori hanno arruolato 60 pazienti, tutti sottoposti a intervento di protesi all’anca con stelo non cementato in fibra SR71 o con fusto in metallo. A tutti i soggetti facenti parte del campione era stata impiantata una testa femorale di 28 mm.

    I pazienti arruolati nello studio sono stati monitorati dai ricercatori per 10 anni. Al follow up è stato possibile raccogliere i dati di 41 soggetti da ambo le coorti. In tutti i casi è stata misurata la densità minerale ossea.

    Rispetto al basale è stato possibile riscontrare un aumento della densità minerale ossea in entrambe le coorti, in sede di esame distale è stato possibile osservare una tendenza inversa.

    Nel caso di un paziente con stelo femorale in fibra SR71 si è registrata la necessità di revisione e una condizione di migrazione di un componente acetabolare, mentre è stato possibile osservare un riassorbimento osseo totale in un paziente con fusto femorale totalmente in metallo.

  • Iniezioni di farmaco paralizzante e chirurgia del ginocchio: studio sul sollievo del dolore post intervento

    15/01/2015 - I risultati di uno studio statunitense

    Il dolore post operatorio rappresenta sempre un fattore di preoccupazione dopo un intervento di sostituzione del ginocchio. Uno studio effettuato da un’equipe medica attiva presso l’Henry Ford West Bloomfield Hospital di West Bloomfield Township (Minnesota) ha indagato la possibilità di risolvere questo problema.
    Il trial ha analizzato la situazione di 200 pazienti, sottoposti a intervento di sostituzione totale del ginocchio. Al gruppo sperimentale (la metà del campione totale analizzato) è stato iniettato un farmaco paralizzante comune a livello della zona inguinale.
    Nei due giorni successivi all’operazione è stato possibile riscontrare un apprezzabile sollievo dal dolore, a fronte di una palese aumento del livello di debolezza delle gambe.
    Il gruppo di controllo è stato invece sottoposta a iniezioni di bupivacaina liposomiale a rilascio prolungato. L’approccio messo in atto coi pazienti facenti parte del gruppo di controllo ha permesso di riscontrare un più veloce ritorno alla deambulazione autonoma.
    Secondo quanto affermato da diverse voci autorevoli del mondo dell’ortopedia statunitense, questo studio conferma che le iniezioni di anestetico locale possono fornire un effetto analgesico non differente da quello dei blocchi nervosi.
    Lo studio è stato presentato all’ultimo congresso annuale dell’American Association of Hip and Knee Surgeons tenutosi a Dallas, e fino a pubblicazione su una rivista i risultati sono da considerarsi preliminari.

  • Effetti del cammino sul dolore muscoloscheletrico cronico: una revisione sistematica

    15/01/2015 - I risultati di una revisione sistematica anglo-neozelandese

    Il lavoro congiunto di un’equipe medica inglese e di una neozelandese ha analizzato i dati di sei database elettronici (Medline, CINAHL, PsychInfo, Pedro, Sport Discus e la Cochrane Central Registro of Controlled Trials) contenenti informazioni dal 1980 al 2014. L’obiettivo era quello di monitorare gli effetti del cammino sul dolore muscoloscheletrico cronico. I dati sono stati estratti in maniera indipendente, utilizzando un modulo standardizzato.
    Sono stati presi in esame i casi di individui in età aduta affetti da fibriomalgia, lombalgia cronica e artrosi. La revisione ha analizzato i dati di 26 studi clinici randomizzati e quasi randomizzati, osservando le situazioni in base alla durata del follow up (a breve termine: ≤8 settimane dopo la randomizzazione, a medio termine: > 2 mesi, a lungo termine: > 12 mesi).
    Le conclusioni hanno portato alla luce come il cammino possa essere considerato una valida forma di esercizio per i pazienti soggetti a dolore muscoloscheletrico cronico. Nei casi in cui tale pratica non è stata inclusa nel processo terapeutico è stato possibile individuare una diminuzione del dolore molto meno apprezzabile rispetto alla situazione dei gruppi sperimentali, dove è stato invece riscontrato un moderato sollievo a breve e medio termine.

  • Riduzione artroscopica dell’anca e acetaboloplastica sui bambini che iniziano a camminare: i risultati di uno studio p

    04/01/2015 - I risultati di uno studio pilota tedesco

    Uno studio pilota tedesco ha indagato i risultati del ricorso alla riduzione artroscopica e all’acetaboloplastica nella risoluzione di casi di lussazioni all’anca in bambini che iniziano a camminare (età media 21,4 mesi).

    Il trial ha coinvolto 9 bambini dai 14 ai 41 mesi, caratterizzati da una condizione di lussazione all’anca. La riduzione artroscopica e l’acetaboloplastica sono state effettuate utilizzando uno strumento ad hoc cannulato da 2,7 mm.

    Sono stati trattate lussazioni caratterizzate da diversi gradi di gravità in base alla classificazione Tönnis, incentrata sui livelli di degenerazione articolare. La riduzione artroscopica è stata eseguita in tutti i casi e alla fine del periodo di monitoraggio, durato 15,4 mesi, non è stata riscontrata alcuna recidiva di lussazione.

    Le conclusioni dello studio permettono d’individuare nella riduzione artroscopica un approccio chirugico valido per il trattamento delle lussazioni all’anca nei soggetti in età infantile all’inizio del periodo di deambulazione autonoma.

    Si tratta dei primi risultati promettenti incentrati sul trattamento di casi caratterizzati dal massimo grado di gravità secondo la classificazione Tönnis. Risulta però necessario avere in mano dei dati sugli esiti a medio termine per avere un’effettiva idea dei tassi di necrosi della testa del femore.

  • Sostituzione totale dell’anca con protesi C.F.P. (Collum Femoris Preserving): studio sui risultati a lungo termine

    04/01/2015 - studio cinese sugli effetti a lungo termine dell'applicazione del sistema protesico

    Il sistema protesico C.F.P., utilizzato negli interventi di sostituzione totale dell’anca, costituisce un’alternativa chirurgica messa a punto per pazienti che, soprattutto per via della giovane età e della frequente attività fisica, necessitano di essere trattati con un minor livello d’invasività.

    L’impianto si distingue per il fatto di non essere cementato e per essere caratterizzato da un contatto osso-protesi fino all’87%. Uno studio cinese ha esaminato gli effetti a lungo termine dell’impiego di questo sistema protesico.

    Il trial ha monitorato la situazione di 46 pazienti, operati tra il settembre del 2000 e il settembre del 2012. Il follow up medio è stato fissato a 7,6 anni, e le condizioni dei soggetti facenti parte del campione sono state analizzate secondo i parametri del punteggio Harris, in base ai risultati di esami radiografici e tenendo conto delle complicazioni e dei livelli di funzionalità dell’anca.

    In sei casi sono state riscontrate complicazioni perioperatorie, con situazioni di frattura della diafisi femorale e un caso di lussazione una settimana dopo l’esecuzione dell’intervento.

    Fatta eccezione per due casi, tutti i pazienti monitorati non hanno riportato problemi di allentamento o cedimento. Lo studio - al netto dell’esiguità numerica del campione - mostra che l’utilizzo del sistema protesico C.F.P. può costituire un’opzione valida a lungo termine per la sostituzione totale dell’anca in pazienti giovani con necessità di revisione.

  • Rosuvastatina e riduzione del rischio di fratture: uno studio smentisce

    11/12/2014 -

    L’assuzione di presidi farmacologici a base di rosuvastatina, un composto utilizzato per trattare l’ipercolesterolemia, non riduce il rischio di fratture. Questo il principale dato presente su un report pubblicato online su Jama International Medicine.

    Le malattie cardiovascolari - la cui prevenzione primaria è uno degli obiettivi delle terapie a base di rosuvastatina - possono condividere percorsi biologici comuni con lo sviluppo di aterosclerosi e di osteoporosi.

    Sono diversi gli studi che suggeriscono un ruolo positivo delle statine nella riduzione del rischio di fratture. Secondo un’equipe medica attiva presso l’Albert Einstein College of Medicine di New York, questa correlazione sarebbe inesistente.

    Lo studio che ha portato a tale esito ha coinvolto un campione di 17802 individui ambosessi (tutti con alti biomarker infiammatori), con le donne di età media superiore ai 60 anni e gli uomini di età media superiore ai 50.

    Il campione è stato diviso in due gruppi, uno trattato con rosuvastatina (20 mg/giorno) e uno composto da membri a cui è stato somministrato solo del placebo.

    Il numero totale di fratture riportate al follow up è risultato pari a 431, con 221 casi tra i pazienti facenti parte del gruppo sperimentale, per il quale l’incidenza di fratture è risultata pari a 1,20/100 persone-anno.

    Il medesimo dato nel gruppo di controllo (210 fratture totali) è stato inquadrato come pari a 1,14/100 persone-anno.

  • Infortuni al bicipite femorale: studio sull’efficacia del trattamento con PRP

    11/12/2014 - studio confronta l'efficacia del PRP e quella della terapia riabilitativa

    I pazienti con infortuni al bicipite femorale possono ricevere maggiori benefici dal

    trattamento con PRP che dall’unica opzione della terapia riabilitativa. Un’equipe medica attiva presso la University of Malaya di Kuala Lumpur ha monitorato la situazione di 28 pazienti praticanti attività sportiva affetti da infortuni al bicipite femorale.

    Ai soggetti facenti parte del campione è stata assegnata in maniera casuale la somministrazione di PRP, oppure il trattamento tramite terapie riabilititative. Sono state registrate le tempistiche di ritorno all’attività sportiva, i punteggi d’interferenza del dolore e i suoi cambiamenti di livello.

    Una differenza significativa è stata notata per quanto riguarda le tempistiche di ritorno all’attività sportiva (26,7 giorni per il gruppo trattato con PRP, contro la media di 42 del gruppo sottoposto unicamente a terapia riabilitativa).

    Nel 50% dei pazienti trattati con PRP è stato possibile riscontrare un pieno recupero a un follow up di 26 settimane, contro le 39 del gruppo trattato unicamente con terapia riabilitativa.

    Nel complesso, i pazienti facenti parte della coorte trattata con PRP hanno avuto una probabilità 4,8 volte maggiore di riprendere l’attività sportiva rispetto a quelli sottoposti unicamente a programmi di terapia riabilitativa.

    Per quanto riguarda i punteggi del dolore, è stato possibile notare risultati significativamente più bassi nel gruppo trattato con PRP.

  • Perdita di peso in età avanzata e rischio di fratture all’anca

    01/12/2014 - perdita di peso in età avanzata possibile fattore di rischio di fratture all'anca

    Una perdita di peso pari al 10% può rappresentare un fattore di rischio di fratture all’anca, soprattutto se avviene in età avanzata. Questo il risultato principale diuno studio presentato nel corso dell’ultima edizione dell’IOF Regionals Asia-
    Pacific Osteoporosis Meeting, svoltasi a Taipei.

    I ricercatori hanno esaminato i dati di 63.257 individui ambosessi, facenti parte della popolazione cinese residente a Singapore. Il campione è stato scelto di un’età compresa tra i 45 e i 74 anni.

    Il primo follow up è avvenuto circa 5,7 anni dopo il reclutamento. Su un totale di 53.322 ancora in vita, sono stati inquadrati 775 casi di frattura all’anca, con un’età media dei pazienti coinvolti pari a 75,3 anni.

    I dati hanno portato in evidenza come, rispetto ai soggetti con peso stabile, gli individui che avevano vissuto una dimunizione di peso pari al 10% fossero soggetti a un rischio di fratture all’anca superiore del 56%.

    Questa situazione è risultata più evidente in individui con un BMI pari a 20 kg/ m2. Un aumento di peso pari al 10% non è stato considerato fattore di rischio per fratture all’anca.

  • Acido tranexamico: studio sulla sua utilità nella chirurgia sostitutiva articolare

    01/12/2014 - I risultati di successo di uno studio di coorte condotto negli USA

    L’acido tranexamico, una molecola utilizzata in medicina e chirurgia per l’inibizione del sistema delle fibrinolisi, può ridurre la necessità di trasfusioni di sangue, senza aumentare il rischio di episodi di trombosi e insufficienza renale nei pazienti sottoposti a chirurgia sostitutiva articolare.

    Questo il principale risultato di uno studio di coorte, effettuato da un’equipe medica attiva presso il Mount Sinai Hospital System di New York. La ricerca ha incluso una popolazione di 872.416 individui, sottoposti ad artroplastica totale dell’anca e del ginocchio.

    Questo esito, ricavato analizzando un campione di individui numericamente molto consistente, è in linea con numerosi altri studi randomizzati, sempre incentrati sul ruolo dell’acido tranexamico come fattore in grado di ridurre il rischio di trasfusioni di sangue.

    Lo studio in questione presenta però dei limiti importanti, come per esempio la mancanza di dati riguardanti i livelli di emoglobina (questo perché le informazioni sono state prese da un database ammininistrativo).

    Introdurre in maniera sistematica l’acido tranexamico in chirurgia generale e ortopedica è ancora prematuro, e i prossimi obiettivi clinici in merito sono orientati all’esecuzione di studi controllati randomizzati per provare l’effettiva e definitiva efficacia di questa molecola nella riduzione delle trasfusioni.

  • Osteoartrite del ginocchio: studio sulla corsa come fattore di prevenzione

    27/11/2014 - studio statunitense smentisce le teorie per cui la corsa sarebbe fattore di rischio per l'osteoartrite del ginocchio

    Uno studio effettuato presso il Baylor College of Medicine di Houston ha smentito le teorie per cui la corsa abituale costituirebbe un fattore di rischio per l’insorgenza di osteoartrite del ginocchio.

    Diverse ricerche eseguite nel corso di un ampio arco di anni hanno portato in luce come gli sforzi frequenti possano favorire l’insorgenza della patologia: uno studio presentato nel corso dell’ultimo meeting annuale dell’American College of Reumatology ha smentito questa posizione, presentando dati legati a un campione di persone abituate a svolgere attività fisica frequentemente.

    La ricerca ha analizzato la situazione di 2.863 soggetti, caratterizzati da un’età media di 64 anni (56% di sesso femminilecon BMI medio pari a 28.6).I partecipanti sono stati valutati osservando l’eventuale presenza di sintomi di osteoartrite del ginocchio e la quantità di radiografie subite. È stato inoltre somministrato un questionario per monitorare l’attività fisica.

    I risultati hanno individuato come i pazienti abituati a correre - a prescindere dall’età - fossero meno propensi a soffrire di episodi di dolore al ginocchio. Sul totale del campione, è risulato come le esperienze di osteoatrite del ginocchio fossero legate al 22% dei soggetti abituati a correre, contro il 29% di quelli non avvezzi a praticare tale attività sportiva.

  • Osteoartrite: identificato un gene responsabile della degradazione della cartilagine

    27/11/2014 - Identificato un gene che contribuisce al processo di degradazione della cartilagine che porta all'osteoartrite

    I ricercatori della Western University hanno effettuato uno studio i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine del sito web di Arthritis e Reumatology, e che si focalizza sull’identificazione di un gene specifico, che svolge un ruolo chiave nel processo di degradazione della cartilagine che porta all’osteoatrite.

    Questa patologia rappresenta una condizione che può raggiungere livelli invalidanti, e che riguarda - a intensità differenti - circa 26 milioni di adulti in USA.

    Il picco d’insorgenza riguarda i soggetti di mezza età e chi attraversa l’età senile. La causa effettiva è ancora oggi sconosciuta.I ricercatori hanno isolato il gene PPARdelta da condrociti prelevati dal ginocchio di pazienti sofferenti di osteoatrite, osservando come la sua eliminazione sia in grado di rallentare la progressione dell’osteoatrite. I risultati di questa ricerca possono aiutare anche ad approfondire la correlazione da osteoartrite e obesità.

    Il PPARdelta è attivato da molecole lipidiche, che vengono immagazzinate attraverso l’alimentazione quotidiana. L’esito della ricerca porta a una conclusione chiara: il lavoro sulla dieta, quando si tratta di prevenzione e cura dell’osteoatrite, può essere preliminare alla messa a punto di un percorso curativo farmacologico.

  • La penna che ricostruisce le ossa in 3D

    25/11/2014 - Nuovo importante passo nel rapporto tra ortopedia e stampaggio 3D

    La tecnologia 3D sta diventando sempre più importante in ortopedia. Si tratta di una frontiera che consente l’ottimizzazione finanziaria e temporale di tantissimi processi, e che grazie a un’equipe dell’Università di Wollongong sta per compiere un passo molto importante.
    Di cosa si tratta? Della messa a punto di una vera e propria Biopen in grado di depositare cellule staminali su un tessuto osseo danneggiato. Il processo non è dissimile da quello della stampa 3D, solo maggiormente preciso.
    Questa importante novità è caratterizzata da un funzionamento estremamente semplice: la tecnologia si basa sulla trasformazione in biopolimero di un materiale cellulare ricavato da alghe.
    Il secondo step del processo consiste nel combinare il tutto con un gel protettivo, che si dissolve non appena inizia la moltiplicazione cellulare. 3D BioPrinting è equipaggiata con una luce ultravioletta, che ha l’obiettivo di solidificare gli inchiostri biologici.
    Peter Choong, direttore del reparto di ortopedia dell’ospedale di Melbourne - che ha collaborato al progetto - ha affermato che questo trattamento può risultare molto utile nella riparazione di lesioni anche importanti, come per esempio quelle causate da incidenti stradali. A breve è previsto l’avvio dell’applicazione clinica sui pazienti.

  • Artrite reumatoide: studio sullo sviluppo della progressione dell’erosione ossea

    25/11/2014 - più chiarezza sul percorso di segnalazione cellulare che contribuisce alla progressione dell'erosione ossea

    Uno studio effettuato presso l’Hospital of Special Surgery di New York - i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine di Journal of Clinical Investigation - ha individuato un percorso di segnalazione cellulare che contribuisce allo sviluppo e alla progressione dell’erosione ossea infiammatoria in pazienti con artrite reumatoide.

    I ricercatori hanno scoperto che una variante del gene RBP-J - che di base svolge un ruolo di ricombinazione delle sostanze proteiche - può essere associata allo sviluppo di artite reumatoide.

    L’equipe guidata dal Dottor Zhao ha messo a punto un percorso di segnalazione cellulare dell’RBP-J, riscontrando un ruolo regolatore nella differenziazione degli osteoclasti, fondamentali nel processo di rimodellamento cellulare.

    I risultati sono stati raggiunti grazie a una tecnologia analitica di alta qualità, che ha permesso all’equipe del Dottor Zhao di attuare un sequenziamento dell’intero trascrittoma, e di ottenere informazioni sul livello di espressione di ogni singolo gene umano.

    Questo studio rappresenta un punto di arrivo molto importante, in quanto amplia l’orizzonte degli obiettivi terapeutici riguardanti una delle patologie autoimmuni più gravi, che ogni anno colpisce milioni di persone nel mondo con conseguenze il più delle volte invalidanti.

  • Tendini umani: prima coltivazione in laboratorio

    21/11/2014 - Primo caso di coltivazione di tendini umani in un bioreattore

    Nel corso dell’ultima edizione della conferenza biennale dell’Australian Society of Elbow and Shoulder Surgeons a Melbourne è stato presentato un risultato fondamentale per tutto il mondo dell’ortopedia e per la medicina rigenerativa in generale: il primissimo caso di coltivazione e mantenimento di tendini umani funzionali in un bioreattore.

    Il lavoro è frutto di una collaborazione congiunta tra la società di medicina rigenerativa Orthocell Limited, l’Università del Western Australia e l’Università di Auckland.

    Il professor Zheng, direttore scientifico di Orthocell, ha spiegato che per ottenere un risultato di questo tipo è necessario avere alla base una cultura di cellule tendinee vitali, coadiuvate dalla giusta quantità di stimoli, aventi il fine di favorire la produzione di tessuto tendineo.

    L’esito di questo lavoro di ricerca può rappresentare chiaramente un punto di riferimento utile nel processo di sostituzione di tendini danneggiati anche in maniera grave. La medicina rigenerativa sta compiendo passi molto importanti, e questo in particolare è stato effettuato con l’obiettivo d’implementare tecnicamente l’approccio a fenomeni infiammatori importanti come l’epicondilite, che devono essere affrontati nella maniera meno invasiva possibile.

  • Scarso peso alla nascita e parto pretermine: studio sui rischi di problemi all’anca in età adulta

    21/11/2014 - Lo scarso peso alla nascita e il parto pretermine possono essere fattori di rischio per problemi all’anca quando il neonato raggiunge l’età adulta

    Lo scarso peso alla nascita e il parto pretermine possono essere fattori di rischio per problemi all’anca quando il neonato raggiunge l’età adulta. Si tratta del principale risultato di una ricerca australiana, i cui dettagli sono stati pubblicati su Arthritis Care & Research.

    Questi fattori sono stati associati al rischio d’insorgenza di artrosi all’anca, e anche di osteoartrosi del ginocchio. La ricerca ha riguardato il monitoraggio di 3.604 pazienti, che hanno riferito il loro peso alla nascita ed eventuali situazioni di parto pretermine.

    L’incidenza degli interventi di sostituzione effettuati a ginocchio e anca è stata determinata collegando i record di coorte all’Australian Orthopaedic Association National Joint Replacement Registry.

    Non è stata individuata alcuna correlazione tra scarso peso alla nascita e parto pretermine e intervento di sostituzione del ginocchio per osteoartite. Riscontri ben diversi sono stati invece inquadrati per quanto riguarda gli interventi di protesi all’anca in età adulta, dovuti soprattutto a una riduzione della massa ossea.

    I prossimi passi clinici da mettere in atto riguardano l’isolamento di questi neonati come gruppo a rischio, e la schematizzazione di forme di prevenzione (per esempio l’eliminazione dell’alcol nel primo trimestre di gravidanza).

  • Dolore muscoloscheletrico cronico: studio sull'efficacia della terapia con cellule staminali

    31/10/2014 - la terapia con staminali in caso d'incompatibilità con il trattamento chirurgico

    Molti pazienti che vivono dolore muscoloscheletrico cronico, qualora non siano candidabili per interventi chirurgici a livello articolare (considerati più efficaci del placebo) e non rispondano a trattamenti non invasivi, vengono sottoposti a terapie con cellule staminali mesenchimali, Per quanto riguarda l’efficacia effettiva delle terapie con staminali in queste situazioni vi sono ancora poche certezze in letteratura medica, ma i rappporti relativi al sollievo del dolore possono dirsi mediamente coerenti.

    Nel corso del XXV Meeting Annuale dell’American Academy of Pain Management Harry Adelson, medico attivo presso le Docere Clinis di Park City (Utah), ha illustrato la sua esperienza clinica con le staminali nella gestione del dolore cronico.

    L’esempio presentato riguardava 62 pazienti sofferenti per via dell’artrite al ginocchio. La terapia con cellule staminali ha avuto come conseguenza un livello generale di miglioramento che ha riguardato il 52,8% dei soggetti di sesso femminile e il 61,2% dei soggetti di sesso maschile.

    L’equipe di Adelson non ha evidenziato alcuna differenza tra i pazienti over 65 e quelli di età inferiore. Neppure l’indice di massa corporea è risultato essere un fattore discriminante nella diminuzione del dolore a un follow up di 3 anni dal trattamento.

  • Osteoartrite del ginocchio: onde sonore per identificarla

    31/10/2014 - Innovativo risultato da uno studio inglese

    Arriva dal Regno Unito un risultato tecnico molto importante per quanto riguarda la cura dell’osteoartrite, in particolare di quella a carico del ginocchio. Un’equipe scientifica attiva presso l’Università di Lancaster ha messo a punto un sistema per rilevare attraverso onde sonore lo stato d’integrità del ginocchio.

    Il processo si concretizza a partire dall’applicazione di specifici microfoni al ginocchio del paziente. Il passo successivo consiste nell’interpretazione da parte di un software delle onde sonore risultanti.

    La ricerca clinica ha portato come principale risultato un dispositivo portatile, che può essere utilizzato senza problemi dai medici di base nel rilevamento delle risposte a eventuali trattamenti.

    Un vantaggio molto importante di questo dispositivo rispetto alla risonanza magnetica consiste nella possibilità di ottimizzare l’aspetto temporale del monitoraggio.

    Questo campo di rilevamento dell’integrità dei tessuti ossei e muscolari è relativamente nuovo, e il Regno Unito è uno dei leader a livello mondiale in merito. Il lavoro dell’equipe dell’Università di Lancaster è stato premiato con una borsa di studio di £ 560.000, e presto verrà avviato un processo di sperimentazione che coinvolgerà 200 pazienti con vari livelli di osteoartrite del ginocchio.

  • Cellule staminali amniotiche per la cura dell'artrite: un case history dal Nevada

    28/10/2014 - nuovo passo nell'evoluzione dei trattamenti delle lesioni ortopediche con cellule staminali amniotiche

    Le cellule staminali amniotiche - pluripotenti esattamente come quelle embrionali - possono essere utilizzate per la cura di problemi di natura

    ortopedica.

    Questo è il principale risultato di un single case legato all’attività di un chirurgo ortopedico del Nevada, tale Jim Pappas, che ha trattato un paziente che lamentava un dolore al ginocchio destro, caratterizzato da una risposta nulla a qualsiasi approccio farmacologico, compresa l’assunzione di FANS.

    Si trattava di un caso di artrite, che ha richiesto un trattamento della durata di circa 15 minuti. L’iniezione di cellule staminali amniotiche è avvenuta presso lo studio del medico ed è stata preceduta dall’individuazione dello spazio articolare attraverso un esame ecografico.

    Al follow up è stato possibile individuare una consistente riduzione del dolore e dello stato infiammatorio.

    L’applicazione delle cellule staminali amniotiche - iniziata per far fronte ai problemi etici legati a quelle embrionali - costituisce un campo di grande interesse soprattutto in ortopedia, in quanto opzione utile per la ricostruzione di un ampio numero di tessuti, da quello osseo a quello cartilagineo.

    Si tratta chiaramente di un caso singolo, inserito in un filone di ricerca che necessita di nuove validazioni, considerando che è da meno di 10 anni che l’attenzione si sta concentrando sull’efficacia terapeutica delle cellule staminali amniotiche.

  • Cellule ossee dal tessuto adiposo umano: i risultati di una ricerca statunitense

    28/10/2014 - sistema di rilevazione ottica utile per riconoscere le staminali che possono diventare cellule ossee

    Nei tessuti adiposi umani è possibile trovare un gran numero di cellule staminali, potenzialmente utili per la rigenerazione dei tessuti di tutto il corpo. Grazie a uno studio effettuato presso la Brown University è stata evidenziata la possibilità di estrarre potenziali cellule ossee in tempi molto rapidi.

    I risultati della ricerca, pubblicati sulle pagine di Stem Cell Research & Therapy, si basano sul paper fornito dall’equipe guidata dal Professor Hetal Marble. Il focus principale del lavoro è stata la messa a punto di un sistema di rilevazione ottica, in grado di rilevare le formazioni cellulari staminali potenzialmente in grado di evolversi in tessuto osseo.

    Come indicatore è stato considerato il gene ALPL, la cui presenza è fondamentale per avere un’idea delle potenzialità che una cellula staminale ha di evolversi in tessuto osseo.

    I risultati sono stati risultati visibili dopo quattro giorni, il tempo necessario al gene ALPL per rendere visibile ed evidente la sua presenza, anche grazie all’impiego di tecniche di biosegnalazione luminosa.

    Questa procedura è risultata due volte più efficace rispetto a quelle utilizzate in precedenza. Tra gli obiettivi dell’equipe di ricerca vi è l’ottimizzazione temporale del processo di differenziazione, fondamentale per l’efficacia dei processi terapeutici in campo ortopedico.

  • Previsione delle complicazioni post operatorie nei pazienti in attesa di artroplastica totale del ginocchio

    16/10/2014 - i risultati di uno studio canadese

    La previsione dei risultati negativi legati agli interventi di artroplastica totale del ginocchio può costituire un vantaggio pratico non indifferente, nell’ovvio obiettivo di mettere in atto una selezione più accurata dei casi presenti nelle liste d’attesa, ottimizzando in maniera immportante le spese sanitarie.

    Uno studio canadese ha monitorato la situazione di 141 pazienti, iscritti nelle liste d’attesa di 3 ospedali di Quebec City. A un follow up di 6 mesi dall’operazione di artroplastica totale sono stati misurati secondo i parametri WOMAC (Western Ontario e McMaster Osteoartrosi Index) il dolore al ginocchio, la rigidità e la funzione.

    Questi dati sono stati poi confrontati con variabili misurate al momento dell’iscrizione alle liste d’attesa, con un’attenzione particolare a fattori predittivi di natura demografica, socioeconomica e clinica (il dolore, la rigidità e lo stato funzionale misurati secondo l’indice WOMAC).

    In seguito a questo confronto è stato messo a punto un algoritmo in grado di prevedere eventuali complicazioni successive all’intervento di artroplastica totale del ginocchio, con una specificità pari a circa il 71%.

    Gli stessi autori dello studio hanno specificato la necessità di un’ulteriore validazione prima dell’effettiva applicazione clinica.

  • Lesioni al tendine d’Achille e cellule staminali: i risultati di un case history statunitense

    16/10/2014 - il caso clinico di un paziente della Florida

    Arriva dalla Florida un case history che corrobora i risultati di altri studi sull’efficacia delle cellule staminali nel trattamento delle lesioni al tendine

    d’Achille. L’analisi del caso è stata riportata in dettaglio dalla rivista CellR4, una delle pubblicazioni internazionali più famose per chi si occupa a livello scientifico di processi di riparazione cellulare.

    Il trattamento a base di cellule staminali è stato somministrato a un paziente di 56 anni con un passato caratterizzato dallo svolgimento attivo di diverse attività sportive (tennis, jogging). Il soggetto lamentava dolore al tendine d’Achille sinistro e la presenza di un’anomala formazione nodosa.

    A fronte di una risonanza magnetica è stata riscontrata una forte ipertrofia, accompagnata da una marcata tendinopatia. Le cellule staminali utilizzate per l’impianto sono state prelevate dalla tibia e centrifugate assieme a fattori di crescita.

    La miscela in questione è stata poi iniettata nella zona del tendine danneggiato. A un follow up di 10 settimane, la risonanza magnetica ha rilevato una notevole diminuzione delle dimensioni del nodo, che risultava praticamente non sensibile al tatto.

    A un secondo follow up di 32 settimane l’ipertrofia è risultata quasi completamente risolta. Il case history in questione rappresenta un passo importante per quanto riguarda l’efficacia della terapia con cellule staminali per le lesioni al tendine d’Achille, procedura effettuabile senza problemi, come è chiaro da questo caso, anche a livello ambulatoriale.

  • Artroplastica totale del ginocchio: studio sui rischi di revisione

    08/10/2014 - I pazienti giovani sono soggetti a un rischio più alto di chirurgia di revisione

    I pazienti di età inferiore ai 50 anni sono interessati da un maggior rischio di revisione dell’intervento di artroplastica totale del ginocchio rispetto a soggetti di età più avanzata.

    Questo il principale risultato di uno studio statunitense, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine dell’ultimo numero del Journal of Bone & Joint Surgery. L’equipe medica che ha effettuato la ricerca ha analizzato i database di pazienti operati tra il 2005 e il 2009 (un campione totale di circa 120.000 interventi primari di TKA) e ha riscontrato un tasso d’incidenza di chirurgia di revisione causata da infezioni periprotesiche pari a 3,49% nei soggetti di età inferiore ai 50 anni (il tutto entro il primo anno dall’intervento).

    Il rischio di infezioni periprotesiche e di guasti meccanici è stato individuato come quasi 5 volte maggiore rispetto a quanto riscontrato nel gruppo di pazienti over 65.Questa ricerca - che ha individuato tra le cause del risultato finale il mancato utilizzo di cemento nel fissaggio delle protesi sui pazienti più giovani - necessita di ulteriori approfondimenti per stessa dichiarazione di chi l’ha realizzata, ma porta in evidenza la necessità di strutture ospedialiere sempre più specializzate, al fine di evitare complicazioni post operatorie.

  • Lesioni cartilaginee del ginocchio: benefici del trapianto autologo di condrociti

    08/10/2014 - studio su un'opzione terapeutica molto frequente

    Il trapianto autologo di condrociti (cellule deputate alla generazione del tessuto cartilagineo) può portare benefici nel trattamento delle lesioni cartilaginee articolari del ginocchio.

    Questo è il principale risultato di uno studio - i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine di American Journal of Sport Medicine - che ha analizzato la situazione di 104 pazienti sottoposti a un impianto autologo di condrociti per lesioni cartilaginee a livello delle articolazioni del ginocchio.

    Nel campione sono stati inclusi soggetti sottoposti a un trapianto autologo tra il 1998 e il 2001. I risultati hanno portato in luce un successo dell’impianto in 73 pazienti, che hanno dichiarato un’importante diminuzione dei sintomi (tutto questo a un follow up di circa 5,5 anni dopo l’intervento).

    Tra questi 73 pazienti, in 46 casi sono stati rilevati risultati eccellenti per quanto riguarda la risoluzione della lesione. Sul campione totale trattato, solo 2 pazienti si sono detti completamenti insoddisfatti dell’impianto.

    La tecnica del trapianto di condrociti può essere utilizzata nel trattamento di danni cartilaginei di origine traumatica, di lesioni localizzate e di lesioni superiori a 1 cm2. Tra le controindicazioni al trapianto autologo di condrociti è possibile ricordare in primo luogo l’età del paziente, che non dovrebbe superare i 50 anni.

  • Ricostruzione del crociato anteriore: meglio l’innesto del tendine rotuleo o il trapianto del tendine del ginocchio?

    02/10/2014 - I risultati di uno studio norvegese

    Tra gli interrogativi più frequenti per chi si occupa di chirurgia ortopedica e di ricostruzione del crociato anteriore spicca la scelta tra l’innesto del tendine rotuleo e il ricorso al trapianto del tendine del ginocchio.

    La seconda opzione risulta più frequente a livello statistico, anche se uno studio, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine del Journal of Sport Medicine, ha rilevato un minor rischio d’interventi di revisione nei casi in cui per la ricostruzione del crociato si utilizza il tendine rotuleo.

    La ricerca, effettuata da un’equipe medica norvegese, ha monitorato le cartelle di 45.402 pazienti sottoposti a ricostruzione del crociato anteriore tra il 2004 e il 2011. I dati hanno portato in luce una schiacciante maggioranza di pazienti operati con trapianto del tendine del ginocchio.

    Nel complesso è stata individuato un bassissimo tasso di ricorso alla chirurgia di revisione, che ha riguardato solo il 2.8% dei pazienti operati con innesto del tendine rotuleo (la percentuale è risultata pari a 4,2 nell’altro gruppo).

    Questo studio - al netto delle limitazioni legate soprattutto ai dati presi da registri - rappresenta un importante proseguimento di altre ricerche riguardanti i vantaggi dell’innesto del tendine rotuleo nell’operazione di ricostruzione del crociato anteriore, soprattutto in soggetti che praticano sport competitivi come il calcio.

  • Ricostruzione del crociato anteriore e ritorno all’attività sportiva: studio su un’associazione sportiva universita

    02/10/2014 - influenza della ricostruzione del crociato anteriore sullo svolgimento di attività sportive

    La ricostruzione del crociato anteriore è un’operazione molto comune in chirurgia ortopedica, e per quanto riguarda gli interventi sugli sportivi c’è ancora poca consapevolezza attorno alla durata degli innesti e alle ripercussioni sulla carriera degli atleti.

    Uno studio effettuato presso l’Università del North Carolina e pubblicato sulle pagine di The American Journal of Sport Medicine ha cercato di far chiarezza in questo ambito.

    La ricerca ha monitorato - attraverso l’analisi delle loro cartelle cliniche - la situazione di 89 atleti attivi nella squadra di un college. Gli individui facenti parte del campione sono stati divisi in due coorti: la prima composta da 35 soggetti sottoposti a ricostruzione del crociato anteriore negli anni precedenti il college (gruppo PC), la seconda costituita da 54 atleti operati invece durante il periodo del college (gruppo IC).

    I risultati hanno portato in luce un ritorno all’attività sportiva più o meno uguale in entrambe le coorti. Per quanto riguarda il gruppo PC, è stato possibile riscontrare un tasso d’infortunio sull’innesto originario pari al 17,1% Lo stesso dato riguardante il gruppo IC ha portato in luce invece un tasso d’infortunio pari all’1,9%.

    Gli atleti facenti parte del gruppo PC hanno giocato con un tasso di rendimento pari al 78%, contro il 77% riscontrato nei soggetti facenti parte del gruppo IC. Secondo quanto riportato dai ricercatori, il prossimo passo riguarderà l’analisi del tasso di reintervento, caso non rarissimo tra i pazienti operati al crociato anteriore e attivi a livello sportivo.

  • Artrosi: da uno studio inglese un programma computerizzato per monitorare la degenerazione cartilaginea

    23/09/2014 - una ricerca dell'Università di Bath fornisce un quadro preciso sullo stato patologico dei tessuti in radiotrasparenza


    L’artrosi rappresenta un problema ortopedico molto importante, oltre che una voce rilevante nei costi dell’agenda sanitaria di tante nazioni. Si calcola che entro il 2020 la patologia costituirà la quarta causa di disabilità nel mondo, un aumento legato anche alla crescita globale di soggetti in condizioni di sovrappeso.
    Uno studio dell’Università di Bath, i cui dettagli sono stati pubblicati sulla rivista Interface, ha permesso l’ideazione di un programma avente come obiettivo il monitoraggio dell’allentamento degli impianti ortopedici e della degenerazione del tessuto cartilagineo.
    Il programma in questione è incentrato sull’osservazione delle aree di radiotrasparenza, ossia quelle zone di tessuto che risultano trasparenti ai raggi X e γ, e che in presenza di un impianto ortopedico possono indicare uno stato di usura di quest’ultimo e l’insorgere dei già ricordati problemi di allentamento.
    La tecnica diagnostica messa a punto dall’equipe dell’Università di Bath - basata su un sistema algoritmico - prevede un’analisi delle immagini molto precisa, in grado di individuare quando i tessuti in radiotrasparenza sono in condizioni effettivamente patologiche (attualmente questo compito spetta alla valutazione soggettiva del singolo medico).
    In questo modo diventerebbe possibile lavorare sulla diagnosi precoce e prevedere sul lungo termine le tempistiche di sostituzione degli impianti, ma anche evitare operazioni - come quelle di sostituzione del ginocchio, che stanno vedendo una crescita continua di richieste - non sempre destinate al successo.

  • Artrite reumatoide: novità per il trattamento da uno studio inglese

    23/09/2014 - Novità importanti da una ricerca effettuata alla Queen University di Londra

    Attualmente non esiste un trattamento definitivo per l’artrite reumatoide, ma è possibile controllare parte degli effetti attraverso l’assunzione di antidolorifici, FANS (farmaci non steroidei antinfiammatori) e altre soluzioni farmacologiche.
    Fra le alternative adottate con più frequenza negli ultimi anni si possono ricordare i farmaci biologici, che riescono a bloccare il processo d’infiammazione della membrana sinoviale, ma hanno come effetto collaterale la soppressione del sistema immunitario nel resto del corpo, con esiti anche molto gravi.
    Uno studio effettuato presso la Queen University di Londra si è focalizzato sulla creazione di anticorpi, uniti poi a un farmaco biologico (in questo caso l’antinfiammatorio cytokine IL-10) e iniettati nel corpo di topi con artrite indotta.
    I risultati sono stati positivi, ma soprattutto hanno portato alla luce la possibilità di operare un direzionamento specifico del farmaco nelle articolazioni coinvolte dall’infiammazione, evitando effetti collaterali come per esempio l’insorgere d’infezioni.
    Secondo gli autori dello studio, i cui dettagli sono stati pubblicati sulla rivista Arthritis Research & Terapy, questo approccio mirato potrà rappresentare il futuro nel trattamento dei pazienti affetti d’artrite, costituendo anche un’importante alternative per contenere il costo generale dei trattamenti.

  • Studio sulla previsione delle fratture dopo la sospensione della terapia con bifosfonati

    16/09/2014 - dall'Università della California uno studio sulla previsione del rischio dopo la sospensione dell'alendronato di sodio

    I bifosfonati sono inibitori dell’assorbimento osseo utilizzati ormai da anni nella terapia contro l’osteoporosi. Uno studio condotto presso l’Università della California ha testato le possibilità di previsione del rischio di fratture in seguito alla sospensione della loro assunzione.
    L’equipe che ha condotto il trial ha esaminato la situazione di 437 donne dai 61 agli 86 anni, sottoposte per almeno quattro anni a terapia farmacologica con alendronato di sodio, interrotta per essere sostituita con somministrazione di placebo per altri cinque anni.
    La ricerca si è concentrata sullo stato di anca e colonna vertebrale, monitorato attraverso la misura di BMD (densità ossea) e attraverso il controllo dei marcatori biochimici del ricambio osseo.
    Durante l’ultimo periodo, il 22% delle donne facenti parte del campione ha avuto più di una frattura, nella maggior parte dei casi nel primo anno successivo all’interruzione della terapia con i bifosfonati.
    L’età avanzata e la bassa densità ossea dell’anca durante la terapia farmacologica sono stati inquadrati come fattori di rischio per le fratture. Secondo quanto dichiarato dagli autori dello studio nel comunicato ufficiale di presentazione, le donne con una più alta perdita di massa ossea nei 2/3 anni successivi alla sospensione della terapia farmacologica sono soggette a un maggior rischio di fratture.
    Sempre secondo le dichiarazioni dell’equipe che ha condotto la ricerca, i marcatori del ricambio osseo non hanno identificato un immediato rischio di frattura, il che mostra la necessità di controlli costanti dopo la sospensione delle terapie a base di alendronato.

  • Fattori di crescita ossea: nuovo tessuto impiantabile dai laboratori del MIT

    16/09/2014 - Dai laboratori del MIT una grande novità per la loro applicazione in ortopedia

    I fattori di crescita sono sempre più importanti in ortopedia, e non si contano i progetti di ricerca dedicati a implementare il loro orizzonte applicativo. Uno dei più interessanti degli ultimi mesi è stato effettuato al MIT di Cambridge (Massachussets) e ha portato come risultato la messa a punto di un tessuto impiantabile rivestito con fattori di crescita ossea.
    Si tratta di una soluzione che ha come obiettivo il superamento del trapianto di osso, che rappresenta l’opzione più adottata in presenza di lesioni anche molto importanti, come per esempio quelle riportate dai veterani di guerra.
    I ricercatori del MIT hanno utilizzato una sottile impalcatura porosa rivestita di PDGF (platelet-derived growth factor, ossia fattori di crescita derivanti da piastrine) e BPM-2 (proteine morfogenetiche dell’osso), caratterizzati da una diversa velocità di rilascio.
    L’impalcatura - che è anche biodegradabile - ha uno spessore di 0,1 mm e può essere tagliata a seconda della dimensione della lesione da risolvere. L’equipe di ricerca del dipartimento d’ingegneria chimica del MIT ha depositato un brevetto ufficiale ed è prossima - dopo i primi test su cavie da laboratorio - a verificare l’efficacia del tessuto su animali più grandi, prima d’iniziare l’effettivo iter di studi clinici.

  • Un algoritmo per prevedere le lesioni a ossa e tendini

    11/09/2014 - Novità sul monitoraggio di lesioni ai tessuti biologici

    Arriva dai laboratori di ricerca della Washington University di St. Louis la notizia della scoperta di un algoritmo utile per la previsione dello sviluppo di lesioni a carico dei tessuti biologici, quindi anche di ossa e tendini.
    I risultati del lavoro di Stavros Thomopoulos e della sua equipe - ottenuti combinando fondamenti di ingegneria meccanica con tecniche di analisi dell’immagine - sono stati divulgati sulle pagine di Journal of the Royal Society Interface. Il comunicato stampa, diffuso dopo la pubblicazione del lavoro di ricerca, parla di un algoritmo in grado di garantire un livello di precisione mille volte superiore rispetto alle performance delle tecniche ottiche attualmente in uso a livello diagnostico.
    Per ora non è ancora possibile verificare direttamente sull’uomo l’efficacia dell’algoritmo, che, secondo Thomopoulos e la sua equipe scientifica, permetterà di prevedere anche le lesioni minime dovute a sforzi fisici eccessivi ma in grado di causare problemi di maggior gravità.
    Le conclusioni sono state raggiunte in seguito all’osservazione in laboratorio degli effetti di procedure di allungamento su tessuti biologici non umani. L’obiettivo sul lungo termine è quello di fare ricorso a questo algoritmo per prevedere le complicazioni chirurgiche relative a interventi a ginocchio e spalla.

  • Vertebrectomia: a Pechino eseguita la prima al mondo con una vertebra stampata in 3D

    11/09/2014 - la prima operazione di questo tipo al mondo eseguita su un paziente di 12 anni


    Lo stampaggio in 3D sta guadagnando sempre più importanza nel mondo della medicina e della chirurgia. Dalla Cina arriva una notizia molto interessante a tal proposito, riguardante la prima vertebrectomia al mondo con impianto di una vertebra ottenuta con una stampante 3D.
    L’intervento è avvenuto presso la clinica ortopedica dell’Università di Pechino. Il paziente, un dodicenne reduce da un infortunio sportivo, aveva un tumore alla seconda vertebra cervicale.
    La neoplasia è stata individuata per caso durante gli accertamenti successivi al ricovero per il trauma: i medici, impossibilitati a procedere senza pregiudicare la successiva qualità dei movimenti, hanno deciso di effettuare una vertebrectomia, ricorrendo a una vertebra sostitutiva realizzata con una stampante 3D (la procedura ordinaria per questo intervento prevede l’utilizzo di protesi metalliche con innesti ossei).
    L’intervento, che ha avuto esito positivo, è durato cinque ore. La vertebra è stata realizzata in polvere di titanio, un materiale molto utilizzato nell’impiantistica ortopedica.
    Questa operazione, per ora unica nel suo genere, apre ufficialmente le porte alla tecnologia 3D nell’universo delle fratture vertebrali, che si verificano con una frequenza particolarmente alta in quanto parte delle conseguenze degenerative dell’osteoporosi.

  • Impianti ortopedici

    05/08/2014 - Studio cinese sul ruolo delle nanoparticelle d’oro nella prevenzione delle infezioni

    Arriva da Shangai uno studio dedicato al ruolo delle nanoparticelle d’oro nella prevenzione delle infezioni agli impianti ortopedici. Si tratta di un campo specialistico molto indagato in tutto il mondo (anche per le disastrose conseguenze su interventi chirurgici impegnativi) e questo trial cinese potrebbe rappresentare un punto di partenza tecnico molto interessante.

    I ricercatori che hanno lavorato a questo studio - i cui risultati finali sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista Applied Physics Letters - hanno individuato un ruolo attivo delle nanoparticelle d’oro nell’arresto del processo di respirazione degli elettroni facenti parte della membrana batterica.

    In questo modo diventa possibile prevenire la formazione di biofilm antibiotico-resistente sulla superficie degli impianti ortopedici. Il risultato è stato ottenuto in laboratorio cospargendo di nanoparticelle d’oro matrici in biossido di titanio (Ti02), e notando le difficoltà incontrate nella crescita da parte di Staphylococcus ed Escherichia Coli.

    Il biossido di titanio risulta quindi essere un forte fotocatalizzatore, in grado di rappresentare un materiale utile all’osteointegrazione priva di complicazioni di natura infettiva.

    Perché l’effetto risulti al massimo dell’efficienza è però necessaria la presenza di una fonte di luce anche piccola, ruolo ricoperto in questo caso dalle nanoparticelle d’oro, che suppliscono al problema dell’oscurità interna del corpo umano.

  • Chiodi elastici in titanio

    30/07/2014 - Studio sul loro utilizzo nel trattamento delle fratture alla tibia in età pediatrica

    Uno studio statunitense ha analizzato gli effetti dell’utilizzo di chiodi elastici in titanio - una pratica chirurgica impiegata con alta frequenza - nel trattamento delle fratture alla tibia in età pediatrica, che sono la seconda causa di ricovero ospedaliero post traumatico di soggetti in età infantile.

    Lo studio retrospettivo ha monitorato la situazione di 38 pazienti tutti sotto i 12 anni, sottoposti a trattamento delle fratture alla tibia nel corso di 5 anni. Al centro dell’attenzione è stata posta la differenza fra l’approccio chirurgico con chiodi elastici in titanio nelle fratture esposte e in quelle non esposte.

    Gli ambiti di analisi principali hanno riguardato il tempo di unione e le complicazioni. Sono stati controllati gli esami radiografici per determinare l’ubicazione della frattura, l’allineamento post operatorio e il grado di guarigione.

    Nel gruppo di pazienti con frattura non esposta è stato riscontrato un caso di unione ritardata (>6 mesi dopo l’intervento), contro gli 11 appurati tra i 21 totali analizzati nel secondo gruppo. In quest’ultimo gruppo si sono verificati anche due casi d’infezione, curati attraverso la somministrazione orale di antibiotici.

    Il numero di giorni di ricovero è stato minore per i pazienti con fratture non esposte. Le conclusioni hanno chiaramente portato in luce un tempo di guarigione maggiore nei pazienti pediatrici con fratture esposte alla tibia trattate con chiodi elastici in titanio.

    Nonostante questo quadro, tale tecnica chirurgica è stata dichiarata sicura ed efficace dagli autori dello studio, provenienti da equipe mediche del St. Christopher Hospital of Children di Philadelphia e dalla scuola di medicina dell’Università di Baltimora.

  • Studio sui risultati funzionali successivi al trattamento in artroscopia della cuffia dei rotatori

    14/07/2014 - Le lesioni alla cuffia dei rotatori rappresentano un problema molto comune in ortopedia, legato sia a traumi di grande importanza sia alle degenerazioni fisiche che sopraggiungono con l’età

    Le lesioni alla cuffia dei rotatori rappresentano un problema molto comune in ortopedia, legato sia a traumi di grande importanza sia alle degenerazioni fisiche che sopraggiungono con l’età.

    Uno studio effettuato presso l’Hardikar Hospital di Pune (India) ha indagato l’esito funzionale a breve termine della riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori in seguito a lesioni a tutto spessore. Il trial ha monitorato 25 pazienti di ambo i sessi e mediamente attorno ai 50 anni di età.

    Lo stato della spalla nel post operatorio è stato monitorato tenendo conto dei punteggi del test UCLA, che si basa su una scala di 35 punti che osservano la progressione del dolore, della funzionalità e del livello di mobilità.

    Il dolore nello specifico è stato invece valutato secondo la scala analogico visiva (VAS). I risultati al post operatorio hanno evidenziato una sua sostanziale dimunizione, concretizzata da un passaggio dal punteggio massimo al minimo nella scala VAS.

    Anche per quanto riguarda i punteggi rilevati dal test UCLA è stato possibile individuare dei forti miglioramenti, con risultati addirittura eccellenti in 8 dei casi analizzati.

    Non è stato riscontrato alcun caso d’infezione o di ritorno delle lesioni precedenti all’intervento. È stato scelto di lavorare su un follow up a breve termine per via dei continui progressi che interessano la chirurgia della cuffia dei rotatori e per la conseguente impossibilità d’inquadrare in maniera definita l’efficacia di alcuni dettagli tecnici.

  • Ricostruzione del legamento crociato

    11/07/2014 - Studio sulla differenza tra l’applicazione di anestesia spinale con o senza blocco femorale

    Uno studio congiunto effettuato tra l’Università del Tennesee di Memphis e la Escola Paulista de Medicina di San Paolo del Brasile ha indagato la differenza a breve termine sui risultati finali dell’intervento di ACL (ricostruzione del crociato anteriore con tendine del ginocchio) tra l’applicazione di anestesia spinale semplice e l’applicazione di anestesia spinale con blocco femorale.

    Lo studio a doppio cieco ha monitorato un gruppo di pazienti tra i 18 e i 40 anni sottoposti a ricostruzione del crociato anteriore (la presenza o meno di lesioni al menisco non è stata considerata caratteristica rilevante). Il campione iniziale è stato diviso in due ulteriori gruppi: in un caso è stata effettuata solo l’anestesia spinale con sedazione, mentre nel secondo caso è stato integrato anche il blocco del nervo femorale.

    Al follow up - collocato dal terzo al settimo giorno dopo l’operazione - sono stati monitorati i livelli di dolore, i range di movimento, la contrazione attiva del quadricipite e il punteggio FIM (che misura il livello di autosufficienza nei movimenti).

    I risultati hanno evidenziato un aumento del dolore dopo il terzo giorno nei pazienti sottoposti a blocco del nervo femorale. Nessuna differenza tra i due gruppi è stata invece riscontrata riguardo alla flessione del ginocchio, nonostante un sensibile miglioramento generale durante la degenza ospedaliera, individuando così una scarsa influenza del blocco femorale in sede operatoria sullo svolgimento di movimenti quotidiani basilari.

  • Artroscopia del ginocchio

    09/07/2014 - Studio sulla sopravvivenza a lungo termine di impianti protesici semi-vincolati

    L’artroscopia del ginocchio è un intervento che necessita di una particolare attenzione nel post-operatorio. Uno studio effettuato presso il dipartimento di chirurgia ortopedica della Mayo Clinic di Rochester (stato di New York) ha indagato i risultati di revisioni a lungo termine su pazienti sottoposti ad artroscopia del ginocchio con impianto di protesi semi-vincolate.

    Il trial, i cui risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero di The Journal of Arthoplasty, ha coinvolto 209 pazienti.

    I criteri di revisione chirurgica hanno portato l’attenzione su diversi aspetti: è stata osservata la sopravvivenza dell’impianto protesico, ma anche la situazione relativa al dolore al ginocchio.

    I risultati finali hanno portato in luce un quadro molto positivo relativo soprattutto alla sopravvivenza degli impianti protesici a lungo termine: a un folllow up di 5 anni il tasso è risultato infatti pari al 91%.

    La situazione osservata invece a un follow up di 10 anni ha portato in luce un tasso di sopravvivenza dell’impianto pari all’81%, con risultati molto positivi riguardanti il miglioramento del dolore e l’efficienza dei movimenti.

    Al secondo follow up, i risultati medi del Knee Clinical Society Score (che misura fattori come il dolore e la stabilità) sono migliorati con uno scarto percentuale pari a 30 punti rispetto al pre-operatorio, mentre una minor differenza è stata riscontrata relativamente all’aspetto della funzionalità.

  • Dalle proteine dei denti un possibile aiuto per la rigenerazione ossea

    07/07/2014 - Presso la Queen Mary University di Londra è stato effettuato un trial che ha portato in luce un risultato importante.

    Gli studi concernenti le frontiere della medicina rigenerativa sono molto attivi in ortopedia e non riguardano solo l’analisi degli effetti del PRP. Presso la Queen Mary University di Londra è stato effettuato un trial che ha portato in luce un risultato importante a questo proposito, individuando il ruolo positivo della staterina nella rigenerazione ossea.

    Lo studio, il cui testo dettagliato è stato pubblicato sulla rivista Biomaterials, ha analizzato il ruolo effettivo di diverse membrane bioattive, create utilizzando segmenti di proteine. La staterina, un fosfopeptide con una molecola formata da 43 amminoacidi e naturalmente presente nello smalto dentale (il suo ruolo principale è il contrasto della formazione di cristalli di fosfato di calcio), è risultata particolarmente efficace nello stimolare la rigenerazione ossea in alcuni esemplari di ratto.

    Il processo di aumento del volume osseo nei ratti è stato monitorato nel dettaglio, fino ad arrivare alla misura del tessuto calcificato. Gli autori del trial, mantenendo ovviamente le giuste cautele, hanno espresso dei pareri ottimistici nei commenti riportati in calce alla pubblicazione dello studio su Biomaterials.

    Gli esiti fanno infatti ben sperare in merito alle applicazioni di questa terapia rigenerativa su pazienti affetti sia da patologie come l’osteoporosi, sia in condizioni di riabilitazione successive a fatture di grave entità.

  • Studio sull’uso del PRP come terapia per la tendinopatia cronica refrattaria del tendine d’Achille

    02/07/2014 - La tendinopatia cronica del tendine d’Achille è una condizione che può comportare effetti estremamente invalidanti nella vita quotidiana del paziente che ne soffre

    La tendinopatia cronica del tendine d’Achille è una condizione che può comportare effetti estremamente invalidanti nella vita quotidiana del paziente che ne soffre.

    Tra le opzioni terapeutiche attualmente in uso, il PRP rappresenta senza dubbio una delle più frequenti. Un recente studio italiano ha monitorato gli effetti intermedi di infiltrazioni caratterizzate da alto concentrato di PRP ricco di leucociti.

    I pazienti monitorati nel trial sono stati 27 con un’età media di 44 anni. Il trattamento principale è stato caratterizzato da tre iniezioni intratendinee di PRP ricco di leucociti, effettuate a distanza di due settimane l’una dall’altra.

    Le valutazioni dei risultati sono state monitorate sia al basale, sia a circa 54 mesi di follow up.

    A circa 4 anni dalle prime iniezioni sono state analizzate le condizioni di salute generale e il livello di attività. In generale è stato possibile riscontrare degli esiti decisamente positivi, esemplificati soprattutto da un miglioramento nei punteggi della scala Tegner, uno dei sistemi più completi per valutare il ritorno all’autonomia fisica dopo un trattamento.

    L’utilizzo del PRP come terapia per la tendinopatia recalcitrante al tendine d’Achille è quindi inquadrabile come soluzione in grado di portare buoni risultati, in grado di durare anche a medio termine.

  • Studio sull’impiego del PRGF nella riparazione di lesioni al legamento tibio-peroneale

    27/06/2014 - Le lesioni al legamento tibio-peroneale costituiscono una categoria causale molto importante quando si analizzano gli infortuni che coinvolgono atleti professionisti.

    Le lesioni al legamento tibio-peroneale costituiscono una categoria causale molto importante quando si analizzano gli infortuni che coinvolgono atleti professionisti.

    Uno studio effettuato da un’equipe medica dell’Università di Tel Aviv ha monitorato l’utilizzo del PRP come terapia per la riparazione di queste lesioni. Si è trattato di un trial molto piccolo, che ha monitorato la situazione di 16 pazienti, tutti atleti professionisti inseriti in un programma di recupero sottoposti prima dell’effettivo trattamento a esami ecografici dinamici, ripetuti successivamente al follow up.

    Il campione è stato diviso in un gruppo di controllo e in un gruppo di trattamento, al quale sono state somministrate dosi di PRGF.
    Al follow up è stato possibile riscontrare una situazione decisamente migliore nei pazienti facenti parte del gruppo di trattamento. Per quanto riguarda l’aspetto di RTP (Return to Play), i pazienti a cui era stato somministrato il PRGF sono tornati ad allenarsi circa 20 giorni prima rispetto a quelli facenti parte del gruppo di controllo.

    Significativa per i pazienti del gruppo di trattamento è stata anche la diminuzione del dolore residuo al momento del ritorno all’attività sportiva, condizione che li ha riguardati per circa il 62% del loro totale.

  • PRP: studio sull’applicazione della terapia su pazienti con il gomito del tennista

    25/06/2014 - In Missouri trial caratterizzato dall’impianto di PRP su pazienti con questo tipo d’infiammazione.

    Gli studi sull’efficacia applicativa del PRP (plasma ricco di piastrine) in ortopedia sono sempre più numerosi e tra gli ultimi che hanno avuto visibilità internazionale è possibile citarne uno incentrato sulla risoluzione di un problema molto doloroso, ossia il gomito del tennista.

    Presso l’Orthopaedics Rotham Institute di Jefferson (Missouri) è stato realizzato un trial caratterizzato dall’impianto di PRP su pazienti con questo tipo d’infiammazione. Lo studio ha coinvolto 230 persone, divise in due gruppi da 115 soggetti ciascuno.

    Ai pazienti facenti parte del gruppo sperimentale sono state iniettate dosi di PRP nel tendine estensore. Il follow up è stato considerato a 24 settimane dalle prime iniezioni, anche se a 12 settimane è stato possibile un sostanziale miglioramento del dolore - diminuito di circa il 55% - nei soggetti facenti parte del gruppo sperimentale, contro una diminuzione del 48% rilevata invece nel gruppo di controllo.

    Al follow up finale di 24 settimane è stato possibile individuare un’importante diminuzione dell’indolenzimento soprattutto nel gruppo sperimentale, con un calo pari al 29% rispetto al livello iniziale.

    Lo studio, presentato ufficialmente durante l’ultimo congresso dell’American Academy of Orthopaedic Surgeons svoltosi nel mese di marzo a New Orleans, rappresenta un importante passo in un percorso di ricerca dedicato all’analisi dell’efficacia del PRP nella risoluzione di problemi a tendini e muscoli.

  • PRP e trattamento dell’artrosi del ginocchio

    21/06/2014 - Studio sull’efficacia della terapia con cellule staminali mesenchimali e infiltrazioni di PRP nel trattamento dell’artrosi del ginocchio

    L’artrosi del ginocchio è una patologia dalle conseguenze a dir poco invalidanti nonostante la sua cronicità e le terapie con cellule staminali sono un campo molto studiato negli ultimi anni, proprio con l’obiettivo di contrastare l’influenza della malattia sulla qualità di vita del paziente.

    Uno studio effettuato presso la University of Science di Ho Chi Min City ha analizzato l’efficacia della terapia con cellule staminali mesenchimali (MSC) e PRP, miscelato a cellule di grasso autologo (preso dal ventre) dopo l’estrazione della frazione stromale vascolare.

    Il trial ha coinvolto 21 pazienti, che sono stati monitorati a un follow up di 8,5 mesi. Una volta raggiunto questo momento è stato possibile riscontare un miglioramento più che sensibile della funzione articolare, oltre che una diminuzione del punteggio del dolore, sceso di circa sei punti.

    A fronte di una risonanza magnetica è risultato evidente anche l’aumento del volume della cartilagine. I risultati dello studio non hanno inoltre evidenziato alcun tipo di effetto collaterale relativo al PRP o alle cellule staminali mesenchimali di grasso autologo.

    Gli esiti riguardano un numero poco consistente di pazienti, ma rappresentano in ogni caso un punto di vista molto utile per comprendere l’azione congiunta di due terapie molto utilizzate in ortopedia.

  • Artroplastica del ginocchio: studio sugli effetti dello zirconio ossidato come componente femorale

    20/06/2014 - Lo studio rappresenta una conferma della positività dell’impiego di un materiale utile anche nel caso di pazienti allergici e soprattutto caratterizzato da proprietà molto importanti dal punto di vista della biocompatibilità.

    Nell’operazione di artroplastica totale del ginocchio le superfici del femore e della tibia sono sostituite da componenti metalliche. Uno studio effettuato presso il dipartimento di ortopedia e traumatologia del Barnet and Chase Farm Hospital (Barnet, Hertfordshire) ha indagato gli effetti a 5 anni dell’impianto di protesi in zirconio ossidato.

    Nel trial sono stati arruolati 55 pazienti mediamente di 55 anni, 16 dei quali sottoposti a intervento di artroplastica bilaterale al ginocchio con 16 mesi di pausa tra i due interventi chirurgici.

    Al follow up di 62 mesi è stata monitorata la posizione dei componenti delle protesi, l’allineamento del ginocchio, l’interfaccia protesi-osso e il livello di fissazione rilevato dalle radiografie.

    I punteggi migliori, riscontrati in seguito a misurazioni effettuate attraverso il sistema KSS (acronimo di Knee Society Score), caratterizzato dall’attenzione sia ai livelli di dolore sia alle performance relative alla flessione, hanno rilevato una situazione decisamente migliore nei soggetti con protesi femorali in zirconio ossidato.

    Lo studio, considerando comunque il ridotto numero di paziente monitorati, rappresenta una conferma della positività dell’impiego di un materiale utile anche nel caso di pazienti allergici e soprattutto caratterizzato da proprietà molto importanti dal punto di vista della biocompatibilità, come per esempio la durezza e l’elasticità.

  • Studio sull’efficacia terapeutica dell’idrogeno salino nel trattamento dell’artrite reumatoide

    16/06/2014 - Lo studio randomizzato a doppio cieco ha coinvolto 24 pazienti con artrite reumatoide.

    L’artrite reumatoide è una patologia molto invalidante e sono diversi gli studi clinici aperti con l’obiettivo di trovare una soluzione adatta a renderne meno traumatico il decorso.

    Un trial effettuato presso il dipartimento di ortopedia e traumatologia dell’Haraodi Hospital di Fukuoka ha indagato gli effetti terapeutici delle infusioni di idrogeno salino in soggetti con artrite reumatoide.

    Lo studio randomizzato a doppio cieco ha coinvolto 24 pazienti con artrite reumatoide.

    I soggetti arruolati nel gruppo sperimentale sono stati oggetto d’infusioni d’idrogeno salino pari a 500 ml al giorno per 5 giorni. Ai soggetti facenti parte del gruppo di controllo è stato invece somministrato del placebo. Dopo quattro settimane dalle infusioni è stata monitorata l’attività della malattia.

    I risultati hanno portato in luce dei significativi miglioramenti riguardanti soprattutto i livelli d’infiammazione articolare.
    Nel gruppo di controllo non è stato rilevanto nessun miglioramento degno di nota, anzi è stato possibile riscontrare un aumento dei livelli d’interleuchina-6, un biomarcatore sierico utile a monitorare l’avanzamento infiammatorio della patologia.

    Le conclusioni, da prendere con dovuta cautela visto l’esiguo numero di partecipanti allo studio, possono essere considerate comunque un importante tassello per comprendere l’utilità e l’efficacia delle infusioni d’idrogeno salino come trattamento di una patologia di profonda gravità.

  • Lesioni al legamento crociato anteriore

    10/06/2014 - Lesioni al legamento crociato anteriore: studio sulla correlazione con l’isorgenza di artrosi del ginoccchio

    Alcune lesioni primarie al ginocchio (p.e. quelle legate al legamento crociato anteriore) sono correlate all’insorgenza di patologie ortopediche molto importanti, come per esempio l’artrosi del ginocchio, che in alcuni casi arriva a colpire anche in età molto giovane.

    Uno studio effettuato presso l’Imperial College di Londra ha indagato le differenze a livello di movimento del ginocchio in pazienti reduci da lesioni al legamento crociato anteriore e in soggetti con una storia clinica caratterizzata dall’assenza di questi episodi.

    Il trial ha coinvolto 24 pazienti, 12 dei quali con una storia di lesioni al legamento crociato anteriore con intervento di ricostruzione. Le valutazioni dei movimenti sono state effettuate osservando la flessione e l’adduzione del ginocchio in diverse condizioni, ossia durante un percorso su una passerella inclinata e su una superficie piatta.

    L’osservazione delle differenze tra i due gruppi non ha portato in luce particolari discrepanze, fatta eccezione per un momento di adduzione superiore riscontrato durante i passi a velocità normale nei soggetti reduci da ricostruzione al crociato anteriore e con una storia clinica caratterizzata dalla presenza di altri tipi di lesioni al ginocchio.

    I risultati finali hanno in parte messo in discussione le teorie sullo sviluppo dell’artrosi del ginocchio, mostrando, seppur su un campione molto ridotto, come la lesione del legamento crociato abbia meno probabilità di rappresentare un fattore di rischio d’insorgenza di OA se non associata ad altre lesioni.

  • Trattamento dell’artrosi del ginocchio

    08/06/2014 - Trattamento dell’artrosi del ginocchio: funzionano meglio le iniezioni di acido ialuronico o quelle di PRP?

    L’infiltrazione di plasma ricco di piastrine (PRP) è sempre più frequente in ortopedia. Si tratta di una tecnica caratterizzata da un basso livello di invasività e da una sostanziale semplicità esecutiva, per questo considerata molto vantaggiosa quando ci si muove nel campo dei fattori di crescita.

    A livello conservativo viene utilizzato anche l’acido iauloronico (HA), utile nei casi in cui il paziente risulta non idoneo all’intervento protesico. Ma quale differenza c’è tra i due trattamenti a livello di efficacia? Uno studio effettuato presso il dipartimento di ortopedia della facoltà di medicina della Ondokuz Mayýs University (Turchia) ha cercato di sciogliere questo interrogativo.

    Il trial ha coinvolto 90 pazienti, divisi in due gruppi uguali. I risultati successivi alle infiltrazioni intrarticolari sono stati monitorati tenendo conto dei parametri dell’indice KOOS e hanno portato in luce, a due follow up di tre e sei mesi, dei punteggi migliori nei casi d’inflitrazione di PRP soprattutto per quanto riguarda la scala del dolore.

    Un’altra caratteristica a favore del PRP è il costo delle infiltrazioni, che è risultato minore rispetto a quelle di HA.
    Lo studio, tenendo conto ovviamente dell’esiguità del campione analizzato, è una conferma in più delle teorie che considerano il PRP da solo più vantaggioso nel trattamento conservativo dell’artrosi e non lo vedono come parte integrante di una terapia con l’acido ialuronico.

  • Studio sul risultato dell’infiltrazione intraoperatoria durante interventi di artroplastica

    04/06/2014 - Soluzione adottata in diverse situazioni chirurgiche ortopediche con l’obiettivo di operare un processo di riparazione tissutale.

    Il plasma ricco di piastrine (PRP) è una soluzione adottata in diverse situazioni chirurgiche ortopediche con l’obiettivo di operare un processo di riparazione tissutale.

    Vi sono però dei casi specifici in cui questo approccio curativo può non rappresentare un’alternativa efficace al fine di un miglioramento consistente del processo di recupero post-operatorio.

    Uno studio giapponese, effettuato presso lo Hyogo Rehabilitation Center Hospital, ha indagato gli effetti finali dell’infiltrazione intraoperatoria di PRP in pazienti sottoposti ad artroplastica totale del ginocchio.

    Nel trial randomizzato sono stati arruolati 40 soggetti, sottoposti a intervento di artroplastica totale del ginocchio e divisi in due gruppi uguali. Nel gruppo sperimentale sono state somministrate dosi di PRP nel corso dell’intervento, mentre il gruppo di controllo è stato oggetto di un percorso chirurgico senza utilizzo dei fattori di crescita.

    Al follow up non sono stati individuati particolari miglioramenti riguardanti la riduzione di sanguinamento, la potenza muscolare, l’implementazione del movimento e la diminuzione del livello di dolore.

    Lo studio appena descritto ha una validità ovviamente molto circoscritta visto il campione ridotto, ma può rappresentare un riferimento interessante per studiare i limiti della bio-ortopedia, un campo che sta suscitando un interesse crescente e che necessita quindi di un approccio sperimentale sempre più approfondito.

  • Frattura prossimale dell’omero: studio sui vantaggi del trattamento operatorio

    30/05/2014 - Ortopedia: frattura prossimale dell’omero

    Le fratture prossimali dell’omero possono essere trattate in maniera diversa a seconda della loro effettiva gravità e della tensione della cuffia dei rotatori. Nelle situazioni di maggior serietà è possibile procedere all’impianto di una protesi, con tutti i chiari step di riabilitazione post-operatoria.

    Nei casi in cui si decide di non intervenire chirurgicamente è possibile optare per l’applicazione di apposite fasciature aventi l’obiettivo di immobilizzare il braccio del paziente.

    Il caso più comune di frattura prossimale dell’omero è quella in 4 parti. Un trial congiunto effettuato da equipe dell’Università di Notthingam e dell’Università di Guangxi ha indagato i vantaggi del trattamento operatorio in questa specifica situazione.
    La ricerca ha preso in esame 287 pazienti, tutti con storie cliniche caratterizzate dalla presenza di fratture prossimali dell’omero. A un follow up di 12 mesi, nei casi di applicazione del trattamento operativo sono stati riscontrati punteggi migliori per quanto riguarda complicanze come infezioni, necrosi e lussazioni.

    Poca differenza è stata invece riscontrata nel rilevamento dei cambiamenti riguardanti la qualità generale della vita.
    Questo studio, effettuato su un campione di pazienti estremamente ridotto e quindi da analizzare con le dovute cautele, rappresenta comunque uno dei primi casi di ricerca randomizzata improntata al confronto tra approccio operatorio e approccio incruento nelle fratture complesse dell’omero.

  • DEKA Arm: approvato dall’FDA il primo braccio protesico a controllo mentale

    24/05/2014 - DEKA Arm: primo caso al mondo di ausilio protesico controllato dagli impulsi elettrici provenienti dal cervello

    Ha raggiunto un obiettivo molto importante il progetto DEKA Arm, il primo braccio protesico a controllo mentale, ideato e realizzato dalla società americana DEKA Integrated Solution.

    L’FDA (Food and Drug Administration) ha infatti dato parere affermativo alla possibilità di procedere ad applicazioni chirurgiche su pazienti di un ausilio ortopedico che potrebbe cambiare la vita a molte persone.

    DEKA Arm è controllabile tramite la contrazione dei muscoli rimasti intatti e riceve segnali da elettrodi elettromiografici.
    Gli studi effettuati per arrivare all’approvazione da parte dell’FDA hanno portato in luce dei risultati molto positivi: circa il 90% dei 36 partecipanti ai primissimi test su soggetti umani (effettuati su veterani militari) è stata in grado di svolgere dopo poco tempo attività anche non semplici, come per esempio girare in maniera corretta le chiavi nelle serrature, aprendole con successo.

    DEKA Arm è il primo caso al mondo di ausilio protesico controllato dagli impulsi elettrici provenienti dal cervello e, sempre secondo quanto riportato dai risultati dei test pre-approvazione da parte dell’FDA, in casi d’insorgenza di complicanze non è presente un alto livello di rischio per i pazienti.

    DEKA Arm è stato progettato per essere utilizzato in situazioni di diversa gravità, anche in casi di totale amputazione del braccio fino alla spalla.

  • Lesioni meniscali a manico di secchio: uno studio sugli effetti dell’intervento suturale

    22/05/2014 - La lesione a manico di secchio rappresenta uno dei principali casi di danno meniscale.

    La lesione a manico di secchio - durante la quale si verificano distorsioni del ginocchio e riversamenti del liquido sinoviale - rappresenta uno dei principali casi di danno meniscale.

    Le tecniche artrosocopiche offrono numerose alternative per far fronte al problema e per ristabilire uno stato di salute soddisfacente, permettendo al paziente di riprendere in tempi brevi una vita normale.

    La sutura meniscale -intervento praticabile preferibilmente su pazienti under 40 che presentano lesioni nella zona periferica del menisco - rientra in questo elenco e uno studio congiunto (condotto da un’equipe dell’Ospedale Universitario Virgen de La Victoria di Malaga e da alcuni studiosi dello Steadman Philippon Research Institute di Vail in Colorado) ha analizzato i risultati della sua applicazione.
    Il trial ha coinvolto 24 pazienti, tenendo conto di un tempo medio di 10 mesi tra la lesione e l’intervento di sutura meniscale. In questo campione è stato possibile includere 6 soggetti sottoposti unicamente a riparazione del menisco, assieme a pazienti che nel contempo erano stati sottoposti alla ricostruzione del legamento crociato anteriore.

    La media di punti di sutura meniscale applicati è risultata pari a 5.
    I risultati dello studio hanno portato in luce per 4 di questi 6 casi la necessità di una revisione. Sul numero totale del campione, l’83% dei pazienti ha riferito un percorso di guarigione completa.

    Il quadro finale dello studio, nonostante l’esiguo numero di soggetti analizzati, risulta estremamente chiaro. Le lesioni meniscali croniche a manico di secchio possono essere risolte con successo, anche se la riparazione di lesioni isolate risulta essere associata a un maggior rischio di fallimento rispetto alle situazioni in cui la sutura meniscale viene effettuata assieme a operazioni come la ricostruzione del legamento crociato anteriore.

  • Fattori di crescita dei fibroblasti: influenza positiva nei casi di artrosi del ginocchio

    16/05/2014 - Fattori di crescita

    I fattori di crescita dei fibroblasti (FGF18) possono avere un ruolo positivo nel mantenimento dell’integrità della cartilagine - quindi nella sua mancata riduzione di volume e spessore - nei casi di artrosi del ginocchio.

    Questo risultato è stato portato alla luce grazie alle conclusioni di uno studio effettuato presso l’Università svedese di Lund.
    Il trial a doppio cieco ha analizzato la situazione di 168 pazienti con artrosi del ginocchio e provenienti da 30 strutture ospedaliere europee e statunitensi. La media d’età del campione si aggirava attorno ai 61 anni (il picco delle diagnosi di OA negli USA riguarda soggetti attorno ai 55 anni).

    Lo studio ha avuto una durata di 12 mesi, durante i quali i soggetti facenti parte del gruppo sperimentale sono stati sottoposti a iniezioni di Sprifermin (combinazione di fattori di crescita dei fibroblasti umani) in dosi da 10, 30 e 100µg.
    La differenza relativa alla mancata riduzione di volume e di spessore della cartilagine tibio femorale è stata notevole rispetto ai pazienti parte del gruppo di controllo e sottoposti invece a iniezioni di placebo.

    Poca differenza è stata invece riscontrata riguardo alle reazioni infiammatorie, che sono risultate più o meno uguali negli individui facenti parte del gruppo di controllo e in quelli annoverati nel gruppo sperimentale.

    I risultati migliori nella mancata riduzione del volume cartilagineo del ginocchio - in particolare nelle zone laterali - sono stati osservati nei pazienti sottoposti a iniezioni di 100 µg di Sprifermin e monitorati a 6 e 12 mesi attraverso risonanze magnetiche.

  • Da Pittsburgh un progetto all’avanguardia per contrastare gli effetti dell'artrosi

    12/05/2014 - La stampa 3D nel mondo dell’ortopedia

    La stampa 3D può portare un contributo significativo al mondo dell’ortopedia e a i suoi progressi chirurgici?

    A questa domanda ha provato di rispondere un gruppo di ricerca dell’Università di Pittsburgh attraverso la creazione di un chip ideato con l’obiettivo di contrastare uno dei principali effetti dell’artrosi: la degenerazione della cartilagine e dei suoi tessuti.
    Una mix tra fattori di crescita, cellule staminali del paziente e una sostanza neutra come sostegno da utilizzare come materiale di partenza per lo stampaggio 3D di cartilagine: questo l’esito del lavoro del gruppo di ricerca guidato da Rocky Tuan, vice presidente del dipartimento di chirurgia ortopedica della scuola di medicina dell’Università di Pittsburgh.

    La ricerca del Professor Tuan e del suo team ha avuto come obiettivo la ricostruzione della cartilagine danneggiata dai processi artrosici, il tutto attraverso l’ausilio di una stampante 3D, con lo scopo finale di superare il problema della limitata durata temporale delle protesi articolari, che necessitano di ovvie revisioni e anche di sostituzioni.
    Il Professor Tuan e la sua equipe hanno presentato i primi risultati del lavoro durante l’ultima edizione dell’Experimental Biology, svoltasi a San Diego dal 26m al 30 aprile 2014, esplicitando l’intenzione di utilizzare un catetere per stampare la cartilagine nei punti precisi in cui ha subito processi di deterioramento.

    Il progetto è stato per ora testato solo su animali e i risultati clinici sono comunque materiale utile per studiare ancora meglio i percorsi di degenerazione cartilaginea che contraddistinguono l’artrosi.

  • I benefici (non solo ortopedici) delle protesi

    10/05/2014 - L’impianto di protesi alla gamba porta benefici anche al cuore

    L’impianto di protesi alla gamba non porta benefici legati solamente all’efficienza dei movimenti dell’arto, ma anche alla funzionalità di un organo fondamentale per la salute del corpo umano: il cuore.

    L’ortopedia fa bene al cuore e gli ausili artificiali in particolare. Questo risultato arriva da uno studio dell’Università di Toronto, esposto in una delle presentazioni di punta all’ultimo meeting annuale dell’American Academy of Orthopaedic Surgeon (11-15 marzo 2014, New Orleans).
    Che influenze specifiche ha sulla salute del cuore l’impianto di una protesi alla gamba o al ginocchio? Un intervento chirurgico di questa portata implica cambiamenti importanti nello stile di vita, per esempio l’abbandono o la considerevole diminuzione nell’assunzione di antidolorifici.

    Un’influenza molto positiva sull’efficienza cardiovascolare è svolta anche dal movimento fisico e dal processo di riabilitazione imprescindibile dopo l’impianto di una protesi. I dati sono stati raccolti dopo aver analizzato la condizione clinica di un campione di 2.200 persone over 55, tutte caratterizzate da una condizione di artrosi.

    Nei soggetti sottoposti a intervento di impianto di protesi a gamba e ginocchio il rischio di incorrere in problemi di natura cardiaca è risultato più basso del 37% rispetto al gruppo di pazienti che non avevano avuto nessun tipo di rapporto con il chirurgo.

    Anche la diminuzione dello stato infiammatorio ha un ruolo importante nel miglioramento della salute cardiaca. Questi risultati sono a dir poco incoraggianti per il mondo dell’ortopedia, e soprattutto per chi ogni giorno si impegna per far sì che gli ausili protesici possano rappresentare un effettivo fattore di miglioramento della qualità di vita del paziente.

  • Il ruolo del siero di vitamina D nel contenimento del dolore all’anca

    04/05/2014 - Dolore all’anca: patologia molto comune in ortopedia

    Il dolore all’anca è una delle principali conseguenze di patologie molto comuni in ortopedia, come per esempio l’artrosi. Uno studio durato cinque anni ha individuato l’influenza preventiva del siero di vitamina D in soggetti in età avanzata.

    Lo studio longitudinale ha analizzato un campione di 769 individui dai 50 agli 80 anni (il 50% era di sesso maschile). Il trial è stato condotto da due equipe della University of Tasmania, e ha portato in luce una correlazione tra leggeri deficit di siero di vitamina D e insorgenza di dolori a livello di anca e ginocchio.

    I soggetti, monitorati nel corso di 5 anni, sono stati sottoposti al questionario WOMAC (Western Ontario and McMaster University Osteoarthritis Index), un parametro internazionale utilizzato in ortopedia per avere un’idea completa dell’efficienza e della funzionalità dell’anca.
    I soggetti con una maggior tendenza al consumo di vitamina D hanno riportato punteggi migliori per quanto riguarda gli episodi di dolore al ginocchio e all’anca. La quantità di vitamina D in grado di fare la differenza nei punteggi è risultata molto bassa, segno che effettivamente la sua assunzione può avere un ruolo importante nel contenimento di episodi di dolore sul lungo termine.

    Le conclusioni dello studio sono molto importanti in quanto completano le conoscenze fino ad ora al centro dell’attenzione sul rapporto tra vitamina D e apparato muscolo scheletrico, incentrate sui benefici generici della sua assunzione e meno sull’effettivo ruolo nel contenimento del dolore, aspetto fondamentale per gli sviluppi dell’ortopedia sia dal punto di vista preventivo, sia da quello curativo.

  • Protesi e piaghe da sfregamento: sviluppato un sensore per evitarle

    28/04/2014 - Piaghe da sfregamento: problema rilevante per i pazienti portatori di protesi agli arti

    Le piaghe da sfregamento possono costituire un problema di non indifferente entità per i pazienti portatori di protesi agli arti: dando un’occhiata alle ultime novità nel mondo dell’ortopedia è finalmente possibile parlare dell’inizio di una soluzione per questa situazione, che può arrivare a inficiare profondamente un percorso di riabilitazione post operatoria.

    Si tratta di un sensore denominato second skin e frutto del lavoro di un’equipe di medici dell’Università di Southampton, alla ricerca di un modo per ovviare al problema delle piaghe da sfregamento in pazienti oggetto di interventi di amputazione degli arti.
    Il sensore è di dimensioni estremamente ridotte, poco più grande di un francobollo e caratterizzato da un alto livello di flessibilità. Viene inserito nella presa che collega il moncone all’arto artificiale, in modo da riuscire poi a inviare segnalazioni relative alla compatibilità della protesi con il corpo del paziente.

    Tutto questo significa che i ricercatori possono tenere sotto controllo parametri fondamentali, come per esempio la pressione durante i movimenti del soggetto portatore della protesi, e procedere ad eventuali miglioramenti per evitare episodi di dolore a volte anche invalidante.
    Second skin è il risultato di un approfondito programma di ricerca che si è concentrato soprattutto su pazienti amputati provenienti da professioni militari, e quindi tendenti anche a considerevoli aumenti di peso per ragioni psicologiche e per la sospensione dell’attività fisica dopo periodi di intenso esercizio.

    Secondo il Dottor Liudi Jang, coordinatore del progetto di ricerca, i sensori second skin potrebbero essere immessi sul mercato nel prossimo triennio, ovviando anche ad altri problemi gravi come la riduzione della sensibilità al dolore.

  • Artrosi del ginocchio: ricerca sui benefici dell’attività fisica

    21/04/2014 - Danni e conseguenze dell’artrosi del ginocchio

    I danni dell’artrosi del ginocchio e le sue conseguenze negative sulla qualità di vita del paziente possono trovare un fattore di contenimento nell’attività fisica di leggera intensità (p.e. 1 km di corsa lenta in 20 minuti circa).

    Questo è il risultato principale di un percorso di ricerca condotto da un’equipe della Northwestern University.
    Il trial ha preso in esame un gruppo di soggetti affetti da artrosi del ginocchio in stato iniziale. La ricerca ha analizzato la situazione di 1.680 individui dai 49 anni in su, considerati a forte rischio di sviluppo di stati di disabilità.
    L’attività fisica svolta è stata monitorata tramite l’apposizione di accelerometri attorno all’anca, aventi l’obiettivo di registrare i movimenti di settimana in settimana. I soggetti facenti parte del campione sono stati analizzati per un periodo di due anni.
    I risultati dello studio, pubblicati sulle pagine del British Medical Journal, hanno portato alla luce in chi aveva trascorso almeno 4 ore settimanali a svolgere attività fisica leggera una diminuzione del rischio di sviluppare stati di disabilità - intesa come mancanza di autonomia nello svolgimento di attività quotidiane basilari - pari al 30%
    Gli stessi ricercatori hanno individuato questo output come molto importante soprattutto per l’età dei soggetti presi in considerazione (49 - 83 anni).
    Gli esiti di questa ricerca rappresentano infatti un buon punto di partenza per diffondere ulteriormente la cultura dell’attività fisica in una fascia d’età non sempre propensa a considerarla necessaria soprattutto in presenza di una patologia come l’artrosi del ginocchio, associata in molti casi a fastidiosi fenomeni di dolore che rendono gravoso anche lo svolgimento di movimenti molto semplici.

  • Rimozione artroscopica del labbro acetabolare dell’anca

    13/04/2014 - Studio dei benefici dell’intervento su pazienti over 50

    La chirurgia artroscopica dell’anca è un campo molto importante in ortopedia, che sta vedendo delle evoluzioni significative. Tutte le novità devono però essere analizzate tenendo conto degli effettivi benefici a lungo termine per i pazienti.
    Gli effetti di fattori come l’età dei pazienti operati sulle prospettive di miglioramento funzionale successive all’intervento rappresentano ancora un campo poco conosciuto e uno studio dell’ospedale di Ottawa ha cercato di fare chiarezza in merito.

    Il trial clinico in questione ha preso in esame la situazione di 41 pazienti, gruppo caratterizzato da un’età media di 52 anni. Tutti i soggetti facenti parte del campione erano stati sottoposti a un intervento di chirurgia artroscopica all’anca con rimozione del labbro acetabolare.
    A quasi due anni (poco più di 21 mesi) dal primo intervento chirurgico 7 soggetti sui 41 totali sono entrati nuovamente in sala operatoria, con l’obiettivo di essere sottoposti a operazioni di artroplastica.

    Per quanto riguarda la restante parte del campione di soggetti analizzati, poco significativi sono risultati i miglioramenti inerenti la qualità generale della vita e l’insorgenza di fenomeni di dolore. Soltanto per 13 pazienti è stato possibile registrare una condizione post operatoria più che soddisfacente da questi punti di vista.

    Si può a ragione affermare che questo studio rappresenti un caso di attenzione su un campione molto limitato, ma che comunque costituisca un punto di osservazione interessante per un approccio clinico diverso e più mirato alla chirurgia artroscopica dell’anca su pazienti che hanno superato i 50 anni di età.

  • Artrosi alla mano: il ruolo positivo della terapia occupazionale

    09/04/2014 - Sono circa 4 milioni gli italiani che soffrono di artrosi alla mano.

    L'artrosi alla mano è una patologia in grado di influire profondamente nella conduzione di una vita di qualità. Si calcola siano circa 4 milioni gli italiani che ne soffrono: un numero davvero alto, aumentato negli ultimi anni anche per via del progressivo invecchiamento generale della popolazione.

    Uno studio norvegese ha individuato il ruolo positivo della terapia occupazionale nel contenimento dei fenomeni di dolore in pazienti donne affette da artrosi alle mani.
    Il trial ha analizzato la situazione di 80 donne mediamente attorno ai 60 anni: il gruppo di esercizio è stato sottoposto a diverse sedute domestiche di terapia occupazionale a domicilio, mentre le partecipanti al gruppo di controllo hanno ricevuto solamente nozioni informative in merito.

    I risultati, rilevati da un follow up effettuato a tre mesi dall'avvio del trial, hanno mostrato una significativa diminuzione del dolore nelle pazienti appartenenti al primo gruppo.
    Differenze importanti sono state riscontrate anche nell'attenuazione di fenomeni di affaticamento, così come è risultata migliore la qualità della forza di presa nelle partecipanti al gruppo di esercizio.

    Molto utile nella classificazione dei risultati è stato anche l'invito a tenere un diario sul quale riportare gli eventi quotidiani disagevoli connessi alla patologia.
    Affrontare l'artrosi della mano può non essere un percorso facile: molte attività quotidiane anche semplici risultano infatti alquanto problematiche.

    Un ruolo fondamentale nella prevenzione è svolto da uno stile di vita corretto e da un'alimentazione sana, che sia caratterizzata dal contenimento del consumo di latticini e di cereali raffinati. Qualora il soggetto abbia una storia familiare di artrosi alla mano, è fondamentale ricorrere rapidamente a un consulto specialistico, prima che la patologia si manifesti in maniera conclamata.

  • Dalla Svezia nuovi passi per i fattori di crescita

    04/04/2014 - Un team di ricercatori dell'Università di Uppsala ha realizzato un gel in grado di svolgere un ruolo nodale nel processo di saldatura del tessuto osseo in condizioni biochimiche difficili.

    Arriva dalla Svezia una notizia molto importante per il mondo dell'ortopedia e in particolare per chi si occupa dell'impianto di protesi.
    Un team di ricercatori dell'Università di Uppsala, del quale fa parte anche l'italiana Giovanna Fragneto, ha realizzato un gel davvero speciale, in grado di svolgere un ruolo nodale nel processo di saldatura del tessuto osseo in condizioni biochimiche difficili.

    Lo studio rappresenta una conquista molto importante sia per il mondo ortopedico sia per quello dell'ortodonzia, che necessitano di spunti sempre nuovi quando si tratta di ottimizzazione temporale dei sussidi impiantologici: il gel è infatti composto principalmente dalla proteina BMP-2, che ha un ruolo molto importante nella definizione delle ultime frontiere di ingegneria biomedica.?La proteina BMP-2 (bone morphogenetic protein) è un fattore di crescita dal forte potere di osteoinduzione: nel caso specifico dello studio condotto presso l'Università di Uppsala è stato notato come il suo utilizzo possa essere efficace in condizioni molto avverse, per esempio in presenza d'acqua o, in particolare, nel caso di utilizzo di protesi al titanio.

    All'equipe è stata sufficiente l'applicazione di uno strato di gel spesso pochi millimetri su protesi metalliche in esemplari di coniglio per avere un'idea della sua forza connettiva: è stata infatti riscontrata una maggior velocità nella formazione di tessuto osseo quando la sostanza entra in contatto con soluzioni contenenti calcio.

    Per ora la ricerca non è stata ancora trasferita in ambito clinico, ma senza dubbio rappresenta un punto di arrivo importante per il mondo delle bioprotesi e per le nuove frontiere dell'ortopedia.

  • Giornata nazionale della salute della mano: seconda edizione il 10 maggio

    31/03/2014 - Obiettivo della giornata: rilevare situazioni patologiche molto diverse, tra cui l'artride reumatoide, l'atrosi del pollice e del polso, la malattia di Dupuytren.

    Il 10 maggio ha luogo la seconda edizione della Giornata Nazionale della Salute della Mano, un appuntamento che si pone come obiettivo lo sviluppo di una mentalità aperta a diverse possibilità preventive e curative inerenti la chirurgia della mano, in ambito che non è sempre al centro dell'attenzione quando si parla di sinergia tra mondo della sanità e utenza finale.

    Questa giornata, che si pone come obiettivo la replica del successo del 18 maggio 2013, non rappresenta solo un'occasione per informarsi sulle ultime novità riguardanti la chirurgia della mano, ma anche per farsi visitare gratuitamente in alcuni ospedali, con l'obiettivo di rilevare e iniziare a risolvere situazioni patologiche molto diverse, tra le quali ricordiamo l'artride reumatoide, l'atrosi del pollice e del polso, la malattia di Dupuytren.

    La seconda edizione della Giornata Nazionale della Salute della Mano si può a ragione definire una conquista informativa molto importante, dal momento che, secondo quanto riportato da recenti rilevazioni dell'Istituto Superiore di Sanità, sono quasi 1,5 milioni le persone che ogni anno si rivolgono ai pronto soccorso per infortuni agli arti superiori.

    Un dato interessante da notare in questa globalità è la prevalenza di ricoveri per lesioni singole. Quali sono le principali cause? Una supremazia molto triste spetta agli incidenti sul lavoro, come all'altissimo numero di giovani che si trovano a dover affrontare lesioni anche molto gravi.

    Il mondo medico ha istituito diverse iniziative per ovviare al problema, che rappresentano degli ottimi complementi alla giornata del 10 maggio. Una di queste è il progetto "Mani Sicure", un gruppo di studio permanente nato dall'iniziativa di alcuni chirurghi della Società Italiana Chirurgia della Mano, che diffondono per il Paese la cultura della prevenzione riguardante l'infortunistica della mano in diversi ambiti della vita quotidiana.

  • Terapie biomeccaniche e artrosi al ginocchio

    12/03/2014 - Da Singapore arriva un trial molto interessante riguardante le possibilità di contenimento del dolore connesse anche all'evoluzione delle terapie biomeccaniche

    L'artrosi del ginocchio costituisce una delle patologie più diffuse in ambito ortopedico: si tratta di una delle più comuni manifestazioni di degenerazione articolare e sono numerosi gli studi che in questi ultimi anni hanno analizzato le possibilità di contenimento del dolore connesse anche all'evoluzione delle terapie biomeccaniche.

    Un trial molto interessante a questo proposito arriva da Singapore, dove è stata messa in atto unèanalisi degli effetti del programma biomeccanico AposTherapy su un campione di pazienti di diverse etnie residenti presso la repubblica asiatica.
    AposTherapy è un programma biomeccanico che ha come obiettivo l'attenuazione del dolore causato da artrosi al ginocchio e mal di schiena: non ha alcuna natura chirurgica o farmacologica ed è connesso a un'apposita calzatura, dal momento che lavora sulla calibrazione del passo.

    La sua efficacia è stata più volte testata su pazienti di etnia caucasica: lo studio effettuato a Singapore ha individuato come l'utilizzo possa esssere vantaggioso anche in soggetti di altri gruppi etnici.
    Sono stati 58 i pazienti esaminati durante il trial svoltosi nelll'anno 2013: i parametri di analisi del passo sono risultati decisamente migliori dopo sei mesi dall'inizio della terapia, così come anche la velocità, aumentata mediamente del 15,9%.
    Per risolvere definitivamente l'artrosi al ginocchio è necessario un intervento chirurgico, ma le terapie biomeccaniche ha fatto passi di grande rilevanza nell'ambito del contenimento del dolore.

    Prima di arrivare all'intervento chirurgico e al ricorso a programmi biomeccanici è però fondamentale lavorare sulla prevenzione, per esempio attraverso la cura dell'alimentazione, dal momento che obesità e sovrappeso sono spesso correlate alla presenza di fenomeni di artrosi a carico del ginocchio e dell'anca.

  • Atrite reumatoide: uno studio svedese individua i benefici degli Omega-3

    11/02/2014 - Dalla Svezia un risultato molto importante per l'ortopedia e per la lotta all'artrite reumatoide

    Arriva dalla Svezia un risultato molto importante per l'ortopedia e per la lotta all'artrite reumatoide in particolare. Secondo quanto riportato da uno studio effettuato presso il Karolinska Institute di Stoccolma, un'alimentazione ricca di Omega-3 avrebbe un'influenza positiva nel trattamento dell'artrite reumatoide, in particolare nell'attenuazione del dolore.

    L'artrite reumatoide è una patologia tristemente famosa per via della poca chiarezza rche ruota attorno alla sua eziologia.
    Il trial clinico ha preso in esame più di 30.000 soggetti di sesso femminile ed età avanzata, che sono stati monitorati in un arco di tempo pari a 7,5 anni. Nei casi di assunzione abituale di alimenti ricchi di Omega-3 è stata individuata una diminuzione del 35% del rischio d'insorgenza di atrite reumatoide.

    Il ruolo positivo degli Omega-3, secondo quanto riportato dallo studio svedese, è focalizzato nell'intervento sulla struttura chimica dei leucotrieni, molecole di natura lipidica che sono responsabili dell'innesco dei processi infiammatori.
    L'artite reumatoide è a ragione considerabile come un vero e proprio allarme nel mondo dell'ortopedia, soprattutto dal punto di vista della gestione dei costi.

    Si è infatti calcolato, prendendo come esempio il caso singolo della regione Lombardia, che nei prossimi 30 anni la spesa complessiva per curare i soggetti di sesso femminile che ne soffrono supererà i 160 milioni di euro.

    I risultati sono frutto di uno studio effettuato da un'equipe del dipartimento di Organizzazione Aziendale dell'Università Cattolica, che per la prima volta in Italia ha presentato una proiezione temporale a lungo termine dell'evoluzione delle principali patologie reumatiche croniche, tenendo conto di un'ipotetica assenza di trattamenti.

  • Il ruolo dello zinco nello sviluppo dell'artrosi

    20/01/2014 - Arriva dalla Corea una scoperta molto importante: un trial che vede nello zinco una possibile causa dell'artrosi

    Arriva dalla Corea una scoperta molto importante per il mondo dell'ortopedia: un trial che vede nello zinco una possibile causa dell'artrosi. Il risultato è frutto di uno studio pubblicato sulla rivista Cell, e vede in prima linea il lavoro di un'equipe medica del Gwangju Institute of Science and Technology, realtà dell'omonimo centro urbano della Corea del Sud.

    L'equipe scientifica, guidata dal Professor Jang-Soo Chun, ha analizzato i tessuti cartilaginei di alcuni topi, riscontrando una presenza eccessiva di Zip8, una proteina che ha come ruolo proprio quello di regolare il trasporto dello zinco nella cartilagine.

    Gli autori dello studio hanno analizzato il ruolo dell'omeostasi dello zinco nell'ambito dell'efficienza strutturale dei tessuti e lo hanno confrontato con le conseguenze del suo trasporto causato dalla proteina Zip8.

    Quest'ultima condizione è stata associata a uno stato di degenerazione dei tessuti cartilaginei, grazie all'ulteriore attivazione di una proteina chiamata MTF1, capace di innescare l'effettivo meccanismo di degradazione della cartilagine, con tutti i suoi effetti invalidanti.
    Lo studio pubblicato su Cell potrebbe rappresentare una novità molto interessante per il mondo dell'ortopedia, che vede nell'artrosi una delle patologie meno chiare dell'intero panorama delle malattie all'apparato locomotore.

    Solo in Italia si stima siano circa 4 milioni i soggetti che ne soffrono e solo da poco è possibile usufruire di contenuti informativi ufficiali su larga scala, come testimonia la recentissima istituzione (anno 2013) di una giornata nazionale dedicata alla patologia, che cade il 2 ottobre.

    La scoperta di Jang-Soo Chun e della sua equipe rappresenta uno spartiacque nel mondo dell'ortopedia? Per saperlo è forza troppo presto: per ora non resta che apprezzare il progesso e la nuova tendenza informativa divulgativa che si sta diffondendo in Italia riguardo all'artrosi.

  • Fattori di Crescita - Gel piastrinico (PRP)

    15/05/2013 - Fattori di crescita

    L’utilizzo di tale metodica, permette di risolvere patologie che spesso difficilmente guariscono con le normali terapie convenzionali.

    Sono infiltrazioni di elementi che abbiamo nel sangue, ma concentrati a dosaggi molto elevati, poiché trattati con centrifughe speciali dopo aver prelevato pochi cc di sangue del pazienti.

    Quindi lesioni muscolari, tendinite croniche e molte altre patologie si risolvono velocemente ed efficacemente con due o tre sedute.

  • Chirurgia protesica del ginocchio mininvasiva

    12/05/2013 - Chirurgia del ginocchio

    Le tecnologie e conoscenze attuali nel campo della chirurgia del ginocchio permettono di impiantare delle protesi monocompartimentali, quindi risparmiando gran parte del ginocchio, con una invasività e danneggiamento dei tessuti molto minore rispetto alle classiche protesi totali di ginocchio.
    Inoltre il recupero funzionale è molto più veloce e il dolore postoperatorio minore rispetto ad interventi chirurgici più invasivi.

  • Chirurgia delle patologie cartilaginee - Innesti osteocondrali

    02/05/2013 - Patologie cartilaginee

    In artroscopia, quindi con un accesso tramite solo due piccoli buchi al ginocchio, si può andare a trattare le lesione cartilaginee con particolari membrane e innesti che permettono la risoluzione del dolore causato dalla condropatia, senza dover sottoporsi ad interventi molto più invasivi

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