Università di Lovanio: una tecnica per migliorare la sopravvivenza delle cellule ossee impiantate



Approfondimenti medici - 21/04/2016

Lo studio è stato pubblicato sulle pagine di Cell Metabolism


Uno studio pubblicato recentemente sulle pagine della rivista Cell Metabolism ha portatoin evidenza come un gruppo di ricercatori dell’Università di Lovanio (Belgio), abbia riprogrammato con successo alcune cellule ossee vive, rendendole adatte al trattamento di
grandi fratture ossee non guaribili.

Il risultato è stato raggiunto rafforzando la capacità che le cellule hanno di rigenerarsi anche in un ambiente pericoloso. Secondo quanto rilevato dal suddetto team di ricerca dell’Università di Lovanio, il corpo umano è in grado di riparare autonomamente le
fratture ossee nella maggior parte dei casi.

Tuttavia non è sempre così, soprattutto nei casi di grandi fratture ossee. Per supportare la rigenerazione ossea, i ricercatori di tutto il mondo hanno messo a punto impianti che prevedono il fatto di seminare le cellule su strutture di supporto realizzate con materiale
biologico.

Solo il 30% delle cellule impiantate riesce però a sopravvivere dopo i primi giorni. Per quale motivo? Prima di tutto perché i vasi ematici, che forniscono loro ossigeno e altre sostanze nutritive, risultano danneggiati.

La crescita di nuovi vasi ematici nell’impianto richiede tempo e, fino ad allora, le cellule sono a corto di quei ‘carburanti’ che permettono loro di sopravvivere. Come sottolineato da uno degli autori dello studio sopra ricordato, le cellule ossee in questa situazione
producono radicali dell’ossigeno dannosi.
Per evitare tale conseguenza mettono in atto un meccanismo di doppia difesa, aumentando lo stoccaggio di glicogeno e aumentando la produzione di sostanze antiossidanti per neutralizzare i radicali dell’ossigeno.

Questi due approcci permettono alle cellule ossee di essere autosufficienti in termine di generazione di energia e di protezione dai radicali dell’ossigeno. Tutto ciò è fondamentale per la rigenerazione ossea che, come sottolineato da questo studio, può essere stimolato
anche riprogrammando le cellule ossee, per esempio tramite la disattivazione di un sensore dell’ossigeno conosciuto con il nome di PHD2 (è possibile riuscirci sia con l’ingegneria genetica sia somministrando molecole terapeutiche), e migliorando il loro tasso di sopravvivenza con una percentuale compresa tra il 30 e il 60%


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